El libro dell'amore/Oratione V/Capitolo II

Oratione V - Capitolo II

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Come Cupidine si dipigne, e per quali parti dell’anima si conosce la bellezza e generasi l’amore.

Dopo questo, Agatone lungamente narra quante cose si richieggono alla bella apparenza dello idio Cupidine, e dice così: «Cupidine è giovane, tenero, dextro, concordante e splendido». A noi s’appartiene dire quello che conferiscono queste parti alla bellezza, e poi dichiarare in che modo allo idio Cupidine s’appartenghino. Gli huomini hanno ragione e senso. La ragione per sé medesima comprende le ragioni incorporali di tutte le cose. El senso pe’ cinque sentimenti del suo corpo sente le imagini e qualità de’ corpi, e colori per gli occhi, per gli orecchi le voci, gli odori pe ’l naso, per la lingua e sapori, pe’ nervi le qualità semplici degli elementi, come è caldo, freddo e simili. Sì che, quanto apartiene al nostro proposito, sei potentie dell’anima alla cognitione s’attribuiscono: ragione, viso, audito, odorato, gusto e tacto. La ragione s’assomiglia a Dio, el viso al fuoco, l’audito all’aria, l’odorato a’ vapori, el gusto all’acqua, el tacto alla terra. Perché la ragione va cercando cose celesti, e non ha propria sedia in alcuno membro del corpo, sì come la divinità non si rinchiude in alcuna parte del mondo. El viso, cioè la virtù del vedere, è collocato nella supprema parte del corpo, come el fuoco nella somma parte del mondo, e per la natura sua piglia el lume, che è proprio del fuoco. L’audito non altrimenti seguita el viso che l’aria pura seguiti el fuoco, e attigne le voci che si generano nell’aria rotta e per mezzo dell’aria entrano negli orecchi. L’odorato è assegnato all’aria caliginosa e a’ vapori mescolati d’aria e d’acqua, perché egli è posto tra gli orecchi e la lingua come tra l’aria e l’acqua, e comprende facilmente e ama assai que’ vapori che nascono per la mixtione dell’aria e dell’acqua, quali sono gli odori dell’erbe, fiori e pomi suavissimi al naso. Chi dubiterà assimigliare el gusto all’acqua, el quale succede all’odorato come a una aria grossa, e nuota sempre nel liquore della sciliva, e dilectasi molto nel bere e ne’ sapori umidi? Chi dubiterà ancora assegnare el tacto alla terra, con ciò sia che per tutte le parti del corpo, che è terreno, sia el tacto, e ne’ nervi, che sono molto terreni, s’adempia el toccare, e facilmente apprenda le cose che hanno solidità e pondo, che dalla terra procede? Di qui adviene ch’el tacto, gusto e odorato sentono solamente le cose che sono loro proxime, e sentendo molto patiscono, benché l’odorato apprenda cose più remote che gusto e tacto. Ma l’audito apprende ancora cose più remote, e non è tanto offeso; el viso ancora più di lungi adopera, e fa in momento quello che l’audito in tempo, perché prima si vede el baleno che s’oda el tuono. La ragione piglia le cose remotissime, perché non solamente le cose che sono nel mondo e presenti com’el senso, ma etiandio quelle che sono sopr’al cielo, e quelle che furono e saranno apprende. Per queste cose può essere manifesto che di quelle sei forze dell’anima tre n’apartengono al corpo e alla materia, come è tacto, gusto e odorato; e tre s’appartengono allo spirito, e questo è ragione, viso e audito. E però quelle tre che declinano più al corpo, convengono più col corpo che con l’animo, e quelle cose che sono da·lloro comprese, con ciò sia che muovino el corpo conveniente a·lloro, a mala pena pervengono infino all’anima, e come cose poco simili a·llei, poco le piacciono. Ma l’altre tre, che sono remotissime dalla materia, convengono molto più con l’anima, e pigliano quelle cose che poco muovono el corpo e l’animo muovono molto. Certamente gli odori, sapori, caldo e simili qualità fanno al corpo giovamento o nocumento grande; ma all’admiratione e giudicio dell’animo poco fanno, e mezzanamente da quello sono desiderate. Ma la ragione della incorporale verità, colori, figure, voci, muovono poco e apena el corpo, ma assottigliano l’animo a ricercare, e il desiderio suo ad sé rapiscono. El cibo dell’animo è la verità; ad trovar questa giovano gli occhi, e ad impararla gli orecchi; e però quelle cose che s’appartengono alla ragione, viso e audito, l’animo desidera a fine di sé medesimo, come proprio nutrimento; e quelle cose che muovono gli altri sensi sono più tosto necessarie a conforto, nutritione e generatione del corpo. Adunque l’animo cerca queste, non per cagione di sé, ma d’altri, cioè del corpo. E noi diciamo gli huomini amare quelle cose le quali ad fine di loro desiderano; quelle che per fine d’altri, non diciamo propriamente amare. Meritamente adunque vogliamo che l’amore solamente alle scientie, figure e voci s’appartenga. E però quella gratia solamente che si truova in questi tre obiecti, cioè nella virtù dell’animo, figure e voci, perché molto provoca l’animo si chiama «callos», cioè provocatione, da uno verbo che dice «caleo», che vuol dire provoco, e «callos» in greco significa in latino bellezza. Grato è a noi el vero e optimo costume dell’animo, grata ci è la spetiosa figura del corpo, grata la consonanza delle voci; e perché queste tre cose l’animo, come a·llui accomodate e quasi incorporali, di più prezzo assai stima che l’altre tre, però è conveniente che lui queste più avidamente ricerchi, con più ardore abbracci, con più vehemenza si maravigli. E questa gratia di virtù, o figura, o voce che chiama l’animo ad sé rapisce per mezzo della ragione, viso e audito, rectamente si chiama bellezza. Queste sono quelle tre gratie delle quali così parlò Orfeo: «Splendore, viridità e letitia abbondante ». Orfeo chiama splendore quella gratia e bellezza dell’animo, la quale nella chiarezza delle scientie e costumi splende; e chiama viridità, cioè verdezza, la suavità della figura e del colore, perché questa maxime nella verde gioventù fiorisce; e chiama letitia quel sincero, utile, e continuo dilecto che ci porge la musica.