El libro dell'amore/Oratione V/Capitolo I
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Carlo Marsupini, degno allievo delle Muse, seguì dopo Christophano Landini, così interpretando l’oratione d’Agatone. El nostro Agatone stima l’Amore essere iddio beatissimo, perché egli è bellissimo e optimo.
E computa quello che si richiede ad essere bellissimo e quello si richiede ad essere optimo. Nella quale computatione esso Amore dipigne, e poi che ha narrato qual sia l’Amore, annovera e benefici da lui conceduti alla generatione humana. E questa è la somma della disputatione sua. A noi s’appartiene ricercare imprima per che cagione, volendo mostrare l’Amore essere beato, disse lui essere molto bello e buono, e che differentia intra la bontà e la bellezza sia. Platone nel Philebo dice colui essere beato a cui nulla manca, e questo essere quello che è da ogni parte perfecto. Alcuna perfectione è interiore, alcuna exteriore. La interiore chiamiamo bontà, l’exteriore bellezza. E però, quello che è in tutto buono e bello chiamiamo beatissimo, come da ogni parte perfecto. E questa differentia in tutte le cose veggiamo; perché, come vogliono e phisici, nelle pietre pretiose la temperanza de’ quattro elementi interiore parturisce di fuori grato splendore. Ancora le herbe e gli alberi, per la interiore fecondità, sono vestiti di fuori di gratissima varietà di fiori e foglie. E negli animali, la salutifera complexione degli homori crea gioconda apparenza di colori e linee, e la virtù dell’animo dimostra di fuori uno certo ornamento nelle parole e gesti e opere honestissimo. Ancora e cieli, dalla sublime loro substantia, di chiarissimo lume sono vestiti. In tutte queste cose la perfectione di dentro produce la perfectione di fuori, e quella chiamiamo bonità, e questa bellezza; per la qual cosa vogliamo la bellezza essere fiore di bontà; e per gli allectamenti di questo fiore, quasi come per una certa esca, la bonità che dentro sta nascosa allecta e circunstanti. Ma perché la cognitione della mente nostra piglia origine da’ sensi, non intenderémo né appetirémo mai la bontà dentro alle cose nascosa, se non fussimo a quella indotti per gl’inditii della exteriore bellezza. E in questo apparisce mirabile utilità della bellezza, e dello amore che è suo compagno. Per le cose decte, stimo essere assai dichiarato tanta differentia essere intra la bontà e la bellezza, quanta è tra ’l seme e’ fiori; e come e fiori, essendo nati da’ semi degli alberi, producono ancora e semi, così la bellezza, che è fiore di bontà, come nasce dal bene così riduce al bene gli amanti. La qual cosa tractò nel suo sermone Giovanni nostro.