El libro dell'amore/Oratione V/Capitolo III

Oratione V - Capitolo III

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Che la bellezza è cosa spirituale.

Essendo così, è necessario che la bellezza sia una natura comune alla virtù, figure e voci; perché noi non chiameremmo qualunque di questi tre bello, se non fussi in tutti e tre comune diffinitione della bellezza. E per questo si vede che la natura della bellezza non può essere corpo, perché s’ella fussi corpo non converrebbe alle virtù dell’animo, che sono incorporali. Ed è tanto di lunga dall’essere corpo, che non solamente quella che è nelle virtù dell’animo, ma etiandio quella che è ne’ corpi e nelle voci non può essere corporea. Imperò che, benché noi chiamiamo alcuni corpi belli, non sono però belli per la loro materia. Perché uno medesimo corpo di huomo oggi è bello, e domani per qualche caso è brutto, come se altro fussi l’essere corpo e altro l’essere bello. E non sono ancora e corpi belli per la loro quantità, perché alcuni corpi grandi e alcuni brievi appariscono formosi, e spesse volte e grandi brutti e e piccoli formosi, e pe ’l contrario e piccoli brutti e’ grandi gratissimi. Ancora spesse volte adviene ch’egli è simile bellezza in alcuni corpi grandi e in alcuni piccoli. Se adunque, stante spesso la quantità medesima, la bellezza per alcuno caso si muta, e mutata la quantità alle volte sta la bellezza, e simile gratia spesso è ne’ grandi e ne’ piccoli, certamente queste due cose, bellezza e quantità, in tutto debbono essere diverse. Oltr’a questo, se ancora la formosità di qualunque corpo fussi nella grossezza del corpo quasi corporale, nientedimeno non piacerebbe a chi riguarda in quanto ella fussi corporale, perché all’animo piace la spetie d’alcuna persona non in quanto ella giace nell’exteriore materia, ma in quanto la imagine di quella pe ’l senso del vedere dall’animo si piglia. Quella imagine nel vedere e nell’animo non può essere corporale, non essendo questi corporei. In che modo la piccola popilla dell’occhio tanto spatio del cielo piglierebbe, se lo pigliassi in modo corporale? In nessuno, ma lo spirito in uno punto tutta l’amplitudine del corpo in modo spiritale e in imagine incorporale riceve. Allo animo piace quella spetie sola che da lui è presa; e questa, benché sia similitudine di un corpo extrinseco, nientedimeno nell’animo è incorporale. Adunque la spetie incorporale è quella che piace, e quello che piace è grato, e quello che è grato è bello. Di qui si conchiude che l’amore a cosa incorporale si riferisce, e essa bellezza è più tosto una certa spirituale similitudine della cosa, che spetie corporale. Sono alcuni che hanno oppenione la pulchritudine essere una certa positione di tutti e membri, o veramente commensuratione e proportione con qualche suavità di colori; l’oppenione de’ quali noi non ammettiamo. Imperò che, essendo questa dispositione delle parti solo nelle cose composte, nessune cose semplici spetiose sarebbono. Ma noi veggiamo pure e puri colori, e’ lumi, e una voce, e uno fulgore d’oro, e’ l candore dello ariento, e la scientia, e l’anima, e la mente, e Iddio, le quali cose sono semplici, essere belle; e queste cose ci dilectano molto, come cose molto spetiose. Aggiugnesi che quella proportione inchiude tutti e membri del corpo composto insieme, in modo che ella non è in alcuno de’ membri di per sé, ma in tutti insieme. Adunque qualunque de’ membri in sé non sarà bello. Ma la proportione di tutto el composto nasce pure dalle parti, onde ci risulta una assurdità, e questa è che le cose che non sono per loro natura spetiose, partorirebbono la polchritudine. Adviene etiandio spesse volte che, stando la medesima proportione e misura de’ membri, el corpo non piace quanto prima; certamente oggi nel corpo vostro è la medesima figura che nell’anno passato, e non la medesima gratia. Nessuna cosa più tardi invecchia che la figura, nessuna cosa più tosto invecchia che la gratia; e per questo è manifesto non essere tutto uno figura e polchritudine. E ancora spesso veggiamo essere in alcuno più recta dispositione di parti e misura che in uno altro, l’altro nientedimeno, non sappiamo per che cagione, si giudica più formoso e più ardentemente s’ama. E questo ci ammonisce che dobbiamo stimare la formosità essere qualche altra cosa, oltr’alla dispositione de’ membri. La medesima ragione ci ammaestra che noi non sospettiamo la polchritudine essere suavità di colori, perché spesse volte el colore in uno vecchio è più chiaro, e in uno giovane è maggiore gratia. E negli equali d’età, alcuna volta acade che colui che supera l’altro di colore, è superato dall’altro di gratia e di bellezza. Non ardisca però alcuno affermare la spetie essere una mixtione di figura e di colori, perché così le scientie e le voci che mancano di colore e di figura, e ancora e colori e’ lumi che non hanno determinata figura, non sarebbono degni d’amore. Oltr’a questo, la cupidità di ciascheduno, da poi che quello ch’e’ voleva si possiede, sanza dubio s’adempie, come la fame e la sete per cibo e poto si quietano; ma l’amore per nessuno aspetto o tacto di corpo si satia. Adunque e’ non cerca natura alcuna di corpo, e’ cerca pure la bellezza. Onde e’ si conchiude ch’ella non può essere cosa corporale. Per tutte queste cose si vede che quelli che accesi d’amore hanno sete della polchritudine, se vogliono per beveraggio di questo licore spegnere l’ardentissima sete, bisogna che cerchino el dolcissimo omore della bellezza, per spegnere la sete loro altrove che nel fiume della materia e ne’ rivoli della quantità, figura e colori. O miseri amanti, in che luogo vi volgerete voi? Chi fu quello che accese l’ardentissime fiamme de’ vostri cuori? Chi spegnerà el grande incendio? Qui è la grande opera e qui è la fatica. Io ve ’l dirò, ma attendete.