El libro dell'amore/Oratione IV/Capitolo V
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Questa superbia volle Aristofane essere cagione che l’animo, che nacque intero, si segassi, cioè di due lumi usassi dipoi l’uno lasciando l’altro. Per questo si tuffò nel profondo del corpo come in fiume letheo, e sé medesimo ad tempo dimenticando, da sensi e libidine, quasi come da birri e tyranno, è tirato. Ma dipoi che è cresciuto el corpo, e purgati gl’instrumenti de’ sensi, pe ’l mezzo della disciplina si desta alquanto, e in questo el lume naturale comincia a risplendere e l’ordine delle cose naturali ricerca. Nella quale investigatione s’avede essere uno sapiente architectore del mondano edificio, e esso fruire desidera. Quello architectore solo con sopra naturale lume può essere inteso, e però la mente dalla inquisitione della propria luce ad ricomperare la luce divina è mossa e allectata, e tale allectamento è el vero amore, pe ’l quale l’uno mezzo dell’uomo l’altro mezzo dell’uomo medesimo appetisce; perché el lume naturale, che è la mezza parte dell’animo, si sforza d’accendere in noi quello divino lume, che è l’altra mezza parte di quello el quale già fu da noi sprezzato. E questo è quello che nella epistola a·Ddionisio re disse Platone: «L’animo dello huomo desidera qual’ sieno le cose divine intendere risguardando in quelle cose che sono a·llui propinque».
Ma quando Idio infuse la luce sua nell’animo, l’accomodò soprattutto ad questo, che gli huomini da quella fussino condotti alla beatitudine, la quale nella possessione di Dio consiste. Per quattro vie ad questa siamo condotti: prudentia, fortitudine, iustitia, temperantia. La prudentia primo la beatitudine ci mostra, le tre altre virtù come tre vie alla beatitudine ci conducono. Idio adunque variamente in varii animi la sua scintilla a tal fine tempera, in modo che secondo la regola della prudentia altri per l’uficio della fortitudine, altri per l’uficio della giustitia, altri per l’uficio della temperanza al suo creatore ritornano; per che alcuni pe ’l mezzo di questo dono con forte animo sopportano la morte per la religione, per la patria, pe’ genitori, alcuni ordinano la vita loro con tal giustitia, che né fanno ingiuria ad alcuno né in quanto possino lascion fare, alcuni con vigilie, digiuni, fatiche, domano le libidine.
Costoro per tre vie procedono, ma ad uno medesimo fine di beatitudine, secondo che prudentia mostra, pervenire si sforzano. Ancora queste tre virtù nella divina prudentia si contengono, pe ’l desiderio delle quali gli animi degli huomini, accesi medianti gli uffici di queste, ad esse pervenire desiderano, accostarsi a·lloro e perpetuamente fruirle. Noi sogliamo chiamare negli huomini la fortezza maschia per cagione della forza e della audacia, la temperanza femina per la mansueta natura, la giustitia composta dell’uno e dell’altro sexo: maschia perché non lascia fare ingiuria ad alcuno, femina perché ella non fa ingiuria.
E perché al maschio s’appartiene el dare, alla femmina el ricevere, chiamiamo el sole maschio che lume dà ad altri e non riceve, la luna composta dell’uno e dell’altro sexo perché riceve el lume dal sole e dallo agl’elementi, la terra femina perché riceve da tutti e non dà ad alcuno. Il perché sole, luna, terra, fortezza, giustitia, temperantia meritamente si chiamano maschio e composto e femmina; e per attribuire a Dio la più excellente appellatione, chiamiamo queste virtù in lui sole, luna, terra; e in noi sexo masculino, composto, feminino. E noi diciamo essere concessa a coloro la luce maschia, a’ quali fu donata la luce divina dal sole divino con affecto di fortitudine; e a coloro essere concessa la luce composita, a’ quali dalla luna di Dio fu infusa luce con affecto di giustitia; e a coloro la femina, a’ quali dalla terra di Dio con affecto di temperanza. Ma noi, rivolti alla luce naturale, sprezzàmo già la divina, e però lasciando l’una riservàmo l’altra, sì che abbiamo perduta la metà di noi e l’altra metà riservamo. Ma in certo tempo d’età condocti dal lume naturale, tutti desideriamo el divino, benché per diversi modi diversi huomini all’acquistarlo procedino; e coloro vi vanno per fortezza, e quali dalla fortezza di Dio quello già con affecto di fortezza ricevettono, altri per giustitia, altri per temperanza similmente. Finalmente ciascuno così el suo mezzo ricerca come da principio ricevette, e alcuni per la masculina luce di Dio, che già perdettono e hanno ricomperata, vogliono fruire la masculina fortezza di Dio, alcuni per la luce composta cercano similmente fruire la virtù composta, alcuni per la feminina similmente. Tanto dono acquistano coloro e quali, da poi che la scintilla naturale nell’età debita rilucette, stimano quella non essere sufficiente a giudicare le cose divine, acciò che per inditio di naturale scintilla non attribuischino affecti di corpi o d’anime alla maiestà divina, e stimino quella non essere più nobile ch’e corpi e anime. E in questo molti si dice avere errato e quali, investigando Idio, perché si confidorono nel naturale ingegno, altri dissono Dio non essere, come Diagora, altri ne dubitarono, come Protagora, altri giudicorono Lui essere corpo come gli epicuri, stoici, cyrenaici, altri dissono Dio essere una anima del mondo, come Marco Varrone e Marco Manilio. Costoro, come impii, non solamente non racquistorono el lume divino da principio disprezzato, ma etiandio el naturale male usando guastorono.
Quello che è guasto meritamente si chiama rotto e diviso; e però gli animi loro, e quali come superbi nelle forze loro si confidano, sono segati di nuovo, come disse Aristophane, quando ancora el naturale lume, che in loro era rimasto, con false oppenioni oscurano e perversi costumi spengono. E però coloro el lume naturale usano rectamente e quali, conoscendo quello essere povero, stimano lui bastare forse a giudicare le cose naturali, ma ad giudicare le cose sopra natura arbitrano essere di bisogno di lume più sublime; onde purgando l’animo s’apparecchiano in modo che la divina luce di nuovo in loro splenda, pe’ razzi della quale rectamente giudicheranno di Dio, e nella antica integrità fieno restituti.