El libro dell'amore/Oratione IV/Capitolo VI
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Adunque o voi, prestantissimi convitati, questo Idio el quale disse Aristophane essere sopra tutti alla humana generatione benigno, fatevelo propitio con ogni generatione di sacrificio, invocatelo con prieghi piatosi, abbracciatelo con tutto el cuore. Costui per sua beneficentia gli animi imprima mena alla celeste mensa abbondante d’ambrosia e di nectare, cioè cibo e liquore eterno, dipoi distribuisce ciascuni a’ convenienti scanni. Finalmente in eterno con soave dilecto gli mantiene, perché nessuno ritorna in cielo se non colui che piace al Re del cielo. Colui più che gli altri gli piace, el quale più che gli altri l’ama. Cognoscere Iddio in questa vita veramente è impossibile ma veramente amarlo, in qualunque modo conosciuto sia, questo è possibile e facile. Quegli che cognoscono Idio non gli piacciono però per questo, se poi non l’amano. Quegli che lo cognoscono e amanlo sono amati da Dio, non perché lo cognoschino ma perché l’amano. Noi ancora non vogliamo bene a coloro che ci conoscono, ma a quegli che ci amano, perché molti che ci cognoscono spesso abbiamo nimici. Quello adunque che ci rimena in cielo non è la cognitione di Dio, ma è l’amore. Oltr’a questo e gradi di quegli che nel celeste convito seggono, seguitano e gradi degli amanti. Imperò che quegli che più excellentemente Idio amorono, più excellenti vivande quivi pascono. Perché quegli che per l’opera della fortezza la fortezza di Dio amorono, questa fruiscono; quegli che la giustitia di Dio, fruiscono la giustitia; quegli che la temperanza, similmente la temperanza divina. E così varii animi fruiscono varie idee della divina mente, secondo che variamente gli porta l’amore. E tutti fruiscono tutto Idio, perché Idio in ciascuna idea è tutto. Ma coloro più prestantemente Idio tutto posseggono, e quali in più prestante idea lo veggono. E ciascuno usufructa quella virtù divina la quale amò vivendo. E però, come dice Platone nel Phedro, nel choro de’ beati non è invidia, perché essendo la più gioconda cosa che sia possedere la cosa amata, ciascheduno possedendo quello che ama vive contento e pieno. Onde se due amanti usufructano le cose amate, ciascheduno si riposerà nell’uso del suo obiecto, e non arà cura alcuna se altri usufructi più bello obiecto che lui. Sì che, per beneficio dello amore, è facto che in diversi gradi di felicità ciascheduno della sorte sua sanza invidia contento viva. Adviene ancora che per l’amore gli animi beati sanza fastidio le medesime vivande in sempiterno pascono. Imperò che a·ddilectare e convivanti non bastano né vivande né vini, se la fame e la sete non gli allecta, e tanto dura el dilecto quanto l’appetito dura, e l’appetito è decto amore.
Per la qual cosa l’amore eterno, dal quale è acceso l’animo sempre inverso Idio, fa che l’animo sempre gode di Dio come di nuova cosa. E questo amore dalla medesima bontà di Dio è sempre acceso, per la quale l’amante diviene beato. Tre adunque benefici dell’amore brievemente dobbiamo raccorre. Primo che restituendo noi nella naturale integrità, la quale nella divisione perdemmo, ci rimena in cielo; secondo che alluoga ciascuno a’ convenienti scanni, faccendo tutti in quella distributione quieti; terzo che rimovendo ogni fastidio pe ’l suo ardore continuo, accende in noi nuovo dilecto, e per questo fa l’animo nostro di dolce fruitione felice.