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Un grido stridulo risuonò; nel momento in cui appoggiava le tuberose sulla fronte di Mina, costei provò una scottatura atroce.

La mia povera moglie diletta si buttò a terra e gemette nascondendosi il viso fra i capelli.

— Sono maledetta! sono maledetta! Porterò questo marchio di vergogna fino al giudizio finale!

La rialzai e la riconfortai come meglio seppi; i nostri amici si asciugavano lagrime furtive.

— Signora Mina — disse Van Helsing con voce profonda — questa bruciatura sparirà il giorno in cui perirà il Vampiro. La vostra redenzione non può tardare.

Quelle parole confortarono un po’ la mia povera cara che si calmò.

Era tempo di andare. Abbracciai Mina con tenerezza come se non dovessi rivederla più, giurandomi di vendicarla. Ma se la maledizione si accanisse su di lei, se ella dovesse diventare (avrò il coraggio di dir la parola?)... un Vampiro... ebbene l’accompagnerò! È così, io immagino, che nei tempi addietro l’amore faceva dei proseliti. Sì, piuttosto che dormire solo in terra santa, voglio essere maledetto con lei... Ma ciò non avverrà!

Siamo entrati facilmente nel maniero. Nulla è cambiato. Nella vecchia cappella le casse stanno allineate, come l’altro giorno.

— Adesso, amici miei — disse Van Helsing — si tratta di purificare questa terra, una volta sacra, ma resa impura dal suo contatto e che egli portò così da lontano con uno scopo delittuoso.

Si tolse dal secco un cacciavite e delle tenaglie; e dopo pochi minuti fece saltare il coperchio della prima bara.