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Eleonora d'Arborea

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ELEONORA D’ARBOREA







CCristano, seggio principale della provincia di Arborea in Sardegna, è la città avventurata in cui, nell’anno 1347, nacque Eleonora, figlia di Mariano IV, giudice ossia signore di quella provincia.

Sino dallo scorcio del settimo secolo dell’èra cristiana, l’isola, per la virtù de’ suoi figli liberata dalla soggezione dell’impero bizantino, cominciò a reggersi col patrio governo dei giudici. Il magnanimo Gialeto avea in Cagliari capitanato la meravigliosa rivoluzione, onde furono vinti e cacciati i Bizantini, e diviso in quattro provincie il reggimento dell’isola.

Gialeto dal popolo fu acclamato re di Cagliari, e i suoi [p. 118 modifica] tre fratelli furono eletti giudici, ossia signori delle altre tre provincie cioè di Gallura, Torres ed Arborea.

Ai tempi di Eleonora, da sette secoli sulle rive del Tirso, in Oristano, durava incolume il patrio governo di Gialeto, e l’isola era stata più volte e turpemente offesa dalle orde saracene, che diedero pretesto ai papi di prenderla sotto il loro patrocinio e commetterne la difesa alle bellicose repubbliche di Genova e Pisa, le quali, come Roma e Cartagine, in altre età, se ne contesero i commerci e il possesso.

Dipoi, allo scorcio del secolo XIII, i papi concessero l’alto dominio dell’isola agli avari e superbi re d’Aragona. Fra tanto scompiglio portato da Saraceni, Genovesi e Pisani, dai Papi e dagli Aragonesi, era un continuo mutar di signorie negli ordini feudali; e nel secolo XIV la desolata Cagliari, tolta ai pisani e caduta in balìa degli Aragonesi, più retta non era dagli eredi di Gialeto, nè le provincie di Gallura e di Torres dai giudici. Soltanto nella provincia di Arborea durava il nazionale reggimento, e l’antica sua casa regnante procurava di ampliarne l’autorità dalla sede signorile di Oristano.

La casa d’Arborea col suo potere estendevasi ormai ad un terzo dell’isola; sicché erasi veramente fatta il santuario delle patrie instituzioni, nel quale si organarono i mezzi più acconci a trarre tutta Sardegna da ogni soggezione forestiera.

I signori di Oristano avevano onorato Lanfranco de Bolasco e Bruno de Thoro, che già nella prima metà del secolo XII con eccellenza poetavano nell’italica favella e tenevano in gran pregio gli uomini più cospicui nelle armi, scienze ed arti. Per la qual cosa Eleonora potè agevolmente [p. 119 modifica] essere allevata alla coltura della mente, alle virtù religiose e civili, ed agli esercizi cavallereschi fra gli esempi gloriosi della stirpe paterna. Ella ancor giovanetta sentiva che a reggere Stati non bastano le serene virtù dell’animo, se all’uopo non vanno congiunte colla sapiente vigoria dell’armi: ond’ella piaceasi nell’apprendare le cose di guerra, e ragionandone accendevasi in volto di ardore militare.

Tanta era l’inclinazione sua alle armi, che, secondo si ritrae dal biografo di lei don Giovanni Cupello di Oristano, non ancora quattordicenne si finse oppressa da mal di capo, e rimasta sola nel suo palagio, avvicinossi al soldato di guardia con maniere dolci ed amabili richiedendogli la lancia; ma negandola lui, la richiese con voce più severa, e niegatale ancora la seconda e la terza volta, gli diede un pugno sì forte nella mano, che lasciò scappare la lancia. La prese ella tosto, e a lui voltasi gli chiese perdono dell’insulto; e mostrando gran contento ed allegria di stringere quell’arme si fè a pregarlo che volesse ammaestrarla a ben maneggiare lancia e spada, non senza minacciarlo della sua indegnazione se ogni giorno di nascosto non la istruisse.

Ammirata e grandemente desiderata per bellezza d’animo e di corpo, superati gravi contrasti s’inanellò nell’anno 1367 a Brancaleone Doria genovese, degno di lei per virtù militare e gentilezza di sangue. Per sì felice connubio la pubblica esultanza fu significata ne’ canti e ne’ tornei, ed Eleonora, lieta di due figliuoli, Federico e Mariano, alle tenere cure di sposa e madre dovette ben tosto aggiungere le difficili cure di guerriera e legislatrice.

Mortole il padre e il fratello Ugone (1383) trucidato da [p. 120 modifica] sicari compri da Aragonesi, ella, desiderando assicurare al suo primonato un nobilissimo retaggio, fra le minaccie dei ribelli, e su d’un suolo fumante del sangue fraterno, raccolse impavida le redini abbandonate del governo di Arborea, nell’anno 1383, appunto quando, nello stato de’ Subalpini ad Amedeo VI succedeva il Conte Rosso, il principe sabaudo che alla corona del Piemonte aggiunse la Contea di Nizza, gemma italiana, diveltaci della mendace diplomazia.

Nel grave pericolo in cui trovavasi involta la nuova Giudicessa con savio accorgimento sulle prime si dimostrò devota all’alto dominio dei re d’Aragona, e a domare la rivolta demandò l’aiuto del regio esercito. Mentre il suo consorte Brancaleone era andato alla corte aragonese per ottenere il chiesto soccorso di armi, la donna pensò a vendicare di sua mano i violati suoi diritti, e postasi a capo di fedeli milizie, con mirabile ardimento corse armata incontro ai ribelli, e gli uni vinse colla forza, gli altri col senno e col consiglio, e in breve tempo tutte le genti di Arborea, ridotte ad obbedienza, giuravano fedeltà all’inclita donna ed al primogenito suo figliuolo.

I successi della Sarda guerriera percossero l’animo del re d’Aragona, che previde si sarebbero in lei ridestati gli ardiri trionfali di Mariano IV e di Ugone V, tanto nefasti alla monarchia aragonese. Per la qual cosa il re non permise a Brancaleone Doria il ritorno alla sua desiderata sposa, se prima non fosse dato agli uffiziali regii il figlio primogenito, come statico e pegno della giurata fede. A tale proposta Eleonora arse di nobile sdegno e sentì nel suo cuore fremere d’insolita febbre gli affetti di sposa, madre e rettrice. [p. 121 modifica] Tosto la fulminea donna respinse l’inumano patto e vestita di corazza ed impugnato il brando corse col fido nerbo delle sue milizie a fiaccare la tracotanza aragonese, emulando gli esempi del padre e del fratello.

Durarono due anni le pugne, nelle quali trionfò della forza e delle scaltrezze del potente inimico; e sui combattuti campi di Sanluri, fra i merli del conteso e conquistato castello sarà eternamente ricordata la prodigiosa bravura con cui ella sapeva combattere e capitanar battaglie.

Finalmente fermata la pace fra il Giudicato di Arborea e gli Aragonesi, (1386) potè la magnanima eroina riabbracciare il sospirato consorte, senza offendere la libertà dei figli e la dignità della sua stirpe. Così operando riduceva ad unità politica le genti dell’isola, come, ai tempi di Eleonora, faceva in Lombardia il Duca Gian Galeazzo Visconti, che intorno al suo scettro seppe col valore guerresco unire tante provincie diverse d’Italia. La pace cogli Aragonesi fu breve — La Casa d’Arborea tornò a nuove battaglie, le quali Eleonora lasciò condurre al valoroso consorte, (1390) applicandosi essa ad amministrare lo Stato con la saviezza di buone leggi e meritare dalla storia il titolo di legislatrice, come si era acquistato quello di potente guerriera.

Una peste letale nel 1404 desolava la Sardegna coprendola di orrenda strage, e la morte entrata in Oristano mieteva moltitudine di vittime. Allora la guerriera e la legislatrice tutta fu intesa a provveder spedali, ad accorrere con medici e farmachi dove più il morbo infieriva e qui assisteva ai miseri appestati, là ricoverava gli orfani, largheggiando di affetti e di soccorsi, e tale divenne che oggi [p. 122 modifica] sarebbe sembrata una delle più zelanti suore di carità che vanno fra gl’infermi dei due mondi, angeli della misericordia a confortare le miserie umane. Il suo palazzo signorile che più volte fu allegrato di tornei, di feste e di canti, era convertito in uno spedale che suonava di querimonie; e quivi la Giudicessa, stremata dalle cure e dalle veglie assidue, fu assalita dal morbo struggitore; e le storie di Arborea narrano com’ella morisse martire della carità cristiana, lasciando al consorte e all’unico superstite figlio ed al popolo un tesoro inestimabile di affetti e di salutari consigli.