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Sofonisba Anguissola

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SOFONISBA ANGUISSOLA







CCi Amilcare Anguissola o Angosciola e di Bianca Ponzona nacquero in Cremona sette figli: un maschio, per nome Asdrubale, e sei femmine: Sofonisba, la maggiore, Elena, Lucia, Minerva, Europa e Anna Maria, tutte ingegnose e tutte, in quella età gloriosa di studii, squisitamente allevate. Sofonisba insieme ad Elena fu posta a studiar pittura sotto Bernardino Campi, e per ben tre anni si stettero nella stessa sua casa. Quando pe’ suoi lavori egli dovè andare a Milano, passarono sotto la disciplina di Bernardo Gatti detto il Soiaro. Sofonisba, fatto mirabil progresso nel disegno e nella prospettiva, e superate le prime difficoltà che seco porta l’usare i colori, si applicò a far ritratti, e li [p. 112 modifica] condusse con maniera più delicata di quella che tenessero i Campi, con gran tondezza ed unione. Delle sue prime opere fu un quadro in cui ritrasse al vivo Asdrubale, allora suo piccolo fratellino, e Minerva sua sorella, e tra l’uno e l’altra espresse la figura di Amilcare suo padre. Fece poi il ritratto dell’arcidiacono della Cattedrale di Piacenza, ed il proprio allo specchio. Passò dai ritratti ai componimenti e storie, e rappresentò al vivo in una tavola tre sue sorelle, due in atto di giuocare a scacchi, ed appresso loro una vecchia donna di sua casa.

Annibai Caro, andato da Parma a Cremona, aveva ammirato queste primizie dell’ingegno di Sofonisba, e mostratosi vago d’averne alcun saggio; e il padre di lei, lieto dell’ammirazione di un uomo, che a molte lettere e al bello scrivere accoppiava una squisita conoscenza e gusto dell’arte, parve disposto ad appagarlo, o meglio lo accileccò; e il Caro, che non sapeva resistere a questi miraggi, gli scriveva: «Nulla cosa desiderare più che l’effige di lei medesima per potere in un tempo mostrare due meraviglie insieme: l’una dell’opera, l’altra della maestra.»

La pittrice era bellissima di fatto. Il buon Proculo gli mandò un ritratto che ella aveva fatto di sè, ma l’istesso giorno glielo ritolse, come si fa, dicea Annibale, le ciliege ai bambini. Onde se ne risentì con una di quelle lettere meravigliose che egli sapea scrivere, e a cui torce il grifo chi, meglio di quel dire terso e schiettamente italiano, ama quel certo bastardume che ora più che mai imperversa in Firenze.

Il Caro però confessava non poter competere co’ principi suoi rivali nel desiderio delle opere di Sofonisba. Fatto sta [p. 113 modifica] che il duca d’Alba, veduto il valore di lei, ne invaghì Filippo II, che commise al duca di Sessa, governatore di Milano, d’invitarla a trasferirsi a Madrid. Chiamata a Milano, fu da quel duca trattata con ogni maniera di cortesie. Ella gli fece il ritratto, e ne fu regiamente ricompensata. L’anno 1559 si avviò a Madrid accompagnata da due gentiluomini e due dame, e servita da sei staffieri. Giunta colà ebbe un molto nobile e comodo appartamento in palazzo. Ritrasse la regina ed il re, e questo per parte sua ne la rimeritò con una pensione annua di dugento scudi. Ritrasse poi Carlo, il principe, ornato d’una veste di pelle di lupo cerviero, e ne ebbe in dono un diamante del valore di 1500 scudi.

Papa Pio IV s’invogliò anch’egli di avere alcuna cosa di mano della Sofonisba, e le chiese il ritratto della regina di Spagna. Ella lo fece, lo spedì con una bella lettera, e n’ebbe in cambio una onorevole risposta e molte cose devote fatte di materie di gran prezzo. Gli mandò poi anche quello della principessa sorella del re di Spagna.

Nobile di nascita, bellissima d’aspetto, come già notammo, graziosa in ogni suo tratto e gesto, di soavissimo cantare e di buone lettere, ella venne ogni dì più in favore del re. Egli la elesse fra l’altre dame alla custodia dell’infanta. Deliberando poi di maritarla altamente, ella gli chiese di grazia di unirla ad uomo italiano. Onde egli la accasò con don Fabrizio di Moncada, ricco e nobile cavalier siciliano, con dote di scudi dodicimila in contanti, ed assegnolle un’annua pensione di mille ducati, sopra la dogana di Palermo, per sè e per quello de’ suoi figliuoli, al quale ella avesse voluto [p. 114 modifica] lasciarla per testamento. Le aggiunse gioie, tappezzerie e nobilissime drapperie. E la regina rifiorì il tutto con una veste tempestata di perle del valore di mille scudi.

Passò poi col marito in Sicilia, dove non lasciò l’esercizio della sua nobile arte, ma ritrasse al vivo, inventò e condusse alcune sacre storie.

Morto il Moncada, il re la desiderava in Ispagna; ma ella ottenne poter tornare a Cremona. Se non che, imbarcatasi sopra una delle galere di Genova, comandata da Orazio Lomellino, n’ebbe sì nobile trattamento e delicati riguardi, che gli si diede in isposa. Il re di Spagna approvò il matrimonio, e le assegnò quattrocento scudi di entrata.

Essa continuò a dipingere finché accecò. Nè allora lasciò di trattenersi dell’arte diletta e delle sue difficoltà con gli altri pittori, e Antonio Van Dyck diceva aver ricevuto più luce, in ciò che alla sua professione apparteneva, da una cieca, che dall’opere de’ più celebrati pittori.

Il Baldinucci, dal quale ricavammo in buona parte queste notizie della Sofonisba, cita di lei due disegni; in uno avea rappresentato alcuni gamberi in un paniere, uno dei quali, mordendo un fanciullo, che male avveduto vuole scherzare con esso, lo fa piangere dirottamente, mentre una vaga donna osserva quell’azione. In un altro facea vedere una fanciulla, che, burlandosi di una vecchierella, che con grande attenzione studia l’abbiccì sopra una tavola da fanciulli, con allegro riso la sta mostrando a dito.

Ella morì vecchissima, di circa novant’anni, verso il 1620.

Delle sue sorelle, Elena si fece monaca. Europa si maritò, e morì in età ancor florida: fu rara pittrice, e di sua mano [p. 115 modifica] si vedono nella chiesa di Sant’Elena di Cremona due tavole: una d’un San Francesco, fatto con disegno del Campi, ed una piccola tavola ad un suo proprio altare, dove ella rappresentò Sant’Andrea che, lasciate le reti, segue il Signore. Anche Anna Maria valse nei ritratti; si maritò e morì non si sa quando. Lucia, che s’avanzò pur molto nella pittura e ritrasse tra gli altri il duca di Sessa, e Minerva, che seppe di lettere latine e volgari, morirono giovani.