Don Chisciotte della Mancia Vol. 2/Capitolo XXVII
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Traduzione dallo spagnolo di Bartolommeo Gamba (1818)
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CAPITOLO XXVII.
Si fa sapere chi fosse maestro Pietro e lo scimiotto, ed il mal successo di don Chisciotte nella ventura del raglio dell’asino, che non la fini com’egli avrebbe voluto, e com’erasi immaginato.
Tornando ora a don Chisciotte della Mancia, soggiungo che dopo essere uscito dall’osteria stabilì di vedere le belle sponde dell’Ebro e tutti quei contorni avanti di entrare nella città di Saragozza, avendo opportunità ed agio a farlo per essere tuttavia lontano il tempo in cui doveano seguire le giostre. Con tale divisamento proseguì il suo viaggio, nel quale occupò due giorni senza che gli accadesse cosa degna di essere memorata; e nel terzo, allo scoprire di una spiaggia, udì gran rumore di tamburi, di trombe e di spari di archibugi. Diessi a credere sul principio che derivasse questo rumore da qualche passaggio di compagnie militari per quella parte, e perciò spronando Ronzinante salì all’alto di quella spiaggia. Quando pervenne sulla eminenza scorse ai piedi, per quanta almeno gliene parve, più di dugento uomini armati con differenti maniere d’armi, come a dire, lancioni, balestre, partigiane, alabarde, picche, alquanti archibugi e molte rotelle. Calò ed accostossi allo squadrone in modo che vide distintamente le bandiere, potè giudicare dei colori e notare le imprese che portavano. In una singolarmente di raso bianco, la quale sventolava sopra uno stendardo o gherone, stava dipinto un asino piccolo come quei di Sardegna, col capo un po’ alzato, colla bocca aperta e colla lingua al di fuori, in atto e positura come se stesse ragliando; ed all’intorno era scritto a caratteri maiuscoli il seguente motto: Non ragliarono invano i nostri due Alcadi.
Da questa insegna conobbe don Chisciotte che quella gente dovea essere del paese del raglio, e tosto ne fece motto a Sancio dichiarandogli ciò che stava scritto su quello stendardo. Gli disse pure che chi avea loro narrato l’avvenimento del raglio, avea sbagliato nell’asserire che due giudici fossero quelli che ragliarono, perchè dal motto dello stendardo erano due alcadi. Allora Sancio Panza soggiunse: — Signore, non è da farne caso, mentre potrebb’esser che i giudici che ragliarono allora, fossero poi stati eletti alcadi di questo stesso paese, e perciò stava loro bene l’uno e l’altro titolo. E tanto meno è questa cosa da considerarsi quanto che nulla monta per la verità della istoria che i due ragliatori sieno alcadi o giudici, perchè corre tanto a risico di ragliare un alcade quanto un giudice. Riconobbero in fine, e seppero come il popolo che aveva avuto le beffe, andava ad azzuffarsi con l’altro, il quale si era fatto lecito di schernirlo più che non convenisse al giusto ed alla buona vicinanza. Don Chisciotte si appressò loro; ma con molto dispiacere di Sancio, cui non andò mai a sangue il trovarsi presente in simigliante giornate. Quelli dallo squadrone lo misero nel mezzo, supponendolo uno del loro partito, e don Chisciotte alzando la visiera, con gentilezza e con bel contegno pervenne fino allo stendardo dell’asino. Ivi se gli accostarono tutti i principali dell’esercito per vederlo, vinti dalia maraviglia in cui erano tutti coloro che l’osservavano per la prima volta. Quando egli si accorse di essere sì attentamente osservato senzachè veruno gli facesse alcuna dimanda, divisò di metter a profitto l’altrui silenzio, e rompendo il suo, alzò tosto la voce, e così si fece a parlare: — Quanto per me si possa io sono a pregarvi, miei buoni signori, che non isturbiate la concione che voglio ora farvi, sinchè essa non vi dispiaccia o vi annoii: che se ciò avvenisse, al più picciolo motto che voi farete, porrò alla mia bocca il sigillo e s’infrenerà la mia lingua„. Lo eccitarono tutti a dire ciò che gli tornasse più in grado, assicurandolo che ben volentieri starebbero ad ascoltarlo. Ottenuta quest’approvazione, continuò così: — Io, miei signori, sono cavaliere errante, il cui esercizio si è il trattare le armi; e la mia professione si manifesta nel dar favore a quelli cui rendesi indispensabile, e nel soccorrere chi trovasi in necessità. Seppi or sono varii giorni, la disgrazia vostra e la cagione che adesso vi muove alla zuffa per vendicarvi dei vostri nemici. Ho più e più volte fatto meco stesso ragionamento intorno alle vostre discordie, e trovo, secondo che trattano le leggi del duello, che voi andate errati nel tenervi offesi, mentre un intero popolo non può dirsi affrontato da un individuo, quando un tale popolo tutto unito non venga accusato di fellonia, per poter sapere a quale individuo in ispecialità si possa applicare l’accusa. Ne abbiamo un esempio in Diego Ordognez di Lara, il quale accusò tutta la gente zamorana, perchè ignorava che il solo Veglido Dolfo si fosse fatto reo di tradimento nella uccisione del suo re; quindi estese su tutti l’accusa, e ad ognuno restava diritto alla vendetta e alla rappresaglia. Egli è ben vero che si lasciò trasportare soverchiamente don Diego, e che ha ecceduto i limiti di un’accusa, perchè non facea mestieri ch’egli incolpasse i morti e le acque e le biade e i nascituri ed altre minuzie che si trovano registrate. Ma concedasi ch’egli abbia dirittamente proceduto (per la ragione che quando la collera sormonta non ha freno e governo la lingua) essendochè se un solo non può affrontare un regno, una provincia, una città, una repubblica, un popolo intero, resta chiaro che non v’è ragione di accorrere a vendicare l’accusa di un affronto, perchè in questo caso non ha ad essere tenuta per tale. Staremmo freschi, signori miei, se si ammazzassero per ogni nonnulla quelli che popolano il paese dai ragli con quelli che li deridono per questo nome. I tegamai, i cacciaiuoli, i saponai o quelli di altra razza o casato che vanno tuttodì per le bocche dei fanciulli e della gente vile sarebbero istigati da collera, non cercherebbero che vendette, ed altro non farebbero che sguainare e riporre le spade per ogni meschina briga. No no, nè a Dio piaccia nè il voglia. Gli uomini prudenti nelle ben ordinate repubbliche debbono per sole quattro cose dar di piglio all’arme, tirare la spada dal fodero e mettere a repentaglio le persone, le vite e le sostanze. La prima per la difesa della fede cattolica; la seconda per quella della vita, ch’è secondo ogni legge naturale e divina; la terza per lo proprio onore, per la propria famiglia e pei proprii averi; la quarta per servire il re in guerra giusta: e volendo aggiungere la quinta, che collocare potrebbesi per seconda, per difesa della propria patria. A queste cause altre aggregarsi possono che sieno giuste e ragionevoli, e che ci obblighino a prendere le armi: ma il pigliarle per cose frivole è più da riso e da sollazzo che di disonore e di affronto, egli è un mancare di buono discernimento. Il fare una vendetta ingiusta (chè non si dà giusta vendetta), è direttamente contrario alla santa legge che professiamo: legge che ci comanda di far bene ai nostri nemici, di portar amore a chi ci odia; legge che quantunque ci sembri un po’ dura da osservarsi, tale non è però se non per coloro che Dio pospongono al mondo e lo spirito alla carne; e ricordatevi che il nostro Salvatore, vero Iddio e vero uomo, ed esempio di verità immancabile, essendo nostro legislatore, disse che leggiero è il suo peso e soave il suo giogo, nè ci comandò cosa che fosse impossibile eseguire. Ora, signori miei, vi sarà facile il conoscere che per le divine ed umane leggi siete obbligati a mettervi in tranquillità. — Il diavolo mi porti, disse tra sè Sancio a tal punto, se questo mio padrone non è un missionario; o se non lo è lo assomiglia come uovo ad altro uovo„. Prese un po’ di fiato don Chisciotte, e vedendo che tuttavia si manteneva il silenzio, già accignevasi a tirare innanzi il suo ragionamento, e lo avrebbe fatto se non vi si fosse interposta l’acutezza di Sancio, il quale, profittando di una breve pausa prese il padrone per mano, e così disse: — Il mio signor don Chisciotte della Mancia, che si chiamò un tempo il cavaliere dalla Trista figura, e che chiamasi adesso il cavaliere dai Leoni, è un cittadino di gran giudizio che sa di latino e di volgare quanto un baccelliere, e in ogni cosa che tratta e consiglia procede come soldato bravissimo, e tiene sulla cima delle dita tutte le leggi e le ordinanze di ciò che si chiama duello. Non si ha dunque a far altro se non quel tanto che predica; e tolgo sopra di me ogni male che potesse nascere. E poi perchè non si dovrà ascoltarlo se ha dimostrato ch’è una vera balordaggine l’entrare in valigia per causa del raglio di un asino? Io mi ricordo bene che quando ero giovane io ragliavo ogni volta che me ne venia fantasia, e non vi era chi mi togliesse la mano; e lo facevo con sì bella grazia e proprietà che appena finito il mio raglio, ragliavano tutti gli asini del paese: ma per questo non cessavo d’esser figlio dei miei genitori, ch’erano onoratissimi; e quantunque la mia virtù promovesse l’invidia di alquanti dottoroni del mio paese, io non me ne davo per inteso. Perchè si vegga che io dico la verità, aspettino e ascoltino; chè questa scienza è come quella del nuotare; imparata una volta non si scorda mai più„. E portata sul momento la mano al naso, cominciò a ragliare così sonoramente che tutte le circonvicine valli ne rimbombarono. Uno di quelli che gli stavano accanto pensò che volesse beffarsi della sua fazione, e subito alzata una grossa e lunga pertica che teneva in mano, gli diè un colpo sì terribile che il povero Sancio senza potersene in modo alcuno schermire stramazzò. Don Chisciotte, che lo vide così malconcio, andò con la lancia sopra mano ad investire l’assalitore, ma tanti furono quelli che si frapposero che non potè vendicarlo, ed accorgendosi che gli diluviava già addosso un nugolo di pietre, e ch’era minacciato da mille frecce e da non minore quantità di archibugi, voltò la briglia a Ronzinante, e a quanto galoppo potè scappò dalle mani dei nemici, raccomandandosi a Dio di tutto cuore perchè lo facesse uscire libero da tanto pericolo. Temeva ad ogni passo che qualche palla non gli entrasse dalla schiena e gli uscisse pel petto, e a ogni poco raccoglieva il fiato per timore che non gli mancasse; ma intanto quelli dallo squadrone ristettero dal tirargli sopra, contenti di vederlo fuggire. Appena poi che Sancio ritornò in sè lo caricarono sopra il suo asino e lo lasciarono seguitare il padrone, non perchè foss’egli in caso di guidare da sè stesso la bestia, ma perchè essa si mise spontanea sulle orme di Ronzinante con cui era solita convivere. Essendosi don Chisciotte allontanato buon tratto di strada, voltò la testa e vide che Sancio lo seguitava, e lo stette aspettando, poichè si accorse che non era più inseguito. Stettero fermi nel campo quelli dello squadrone perchè li colse la notte, e perchè non erano usciti in battaglia i loro avversarii, e nella mattina seguente festosi e lieti se ne tornarono al loro paese. Se avessero sapute le costumanze dei Greci antichi avrebbero in quel luogo e in quel sito innalzato un sontuoso trofeo.