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capitolo xxvii | 257 |
rumore da qualche passaggio di compagnie militari per quella parte, e perciò spronando Ronzinante salì all’alto di quella spiaggia. Quando pervenne sulla eminenza scorse ai piedi, per quanta almeno gliene parve, più di dugento uomini armati con differenti maniere d’armi, come a dire, lancioni, balestre, partigiane, alabarde, picche, alquanti archibugi e molte rotelle. Calò ed accostossi allo squadrone in modo che vide distintamente le bandiere, potè giudicare dei colori e notare le imprese che portavano. In una singolarmente di raso bianco, la quale sventolava sopra uno stendardo o gherone, stava dipinto un asino piccolo come quei di Sardegna, col capo un po’ alzato, colla bocca aperta e colla lingua al di fuori, in atto e positura come se stesse ragliando; ed all’intorno era scritto a caratteri maiuscoli il seguente motto: Non ragliarono invano i nostri due Alcadi.
Da questa insegna conobbe don Chisciotte che quella gente dovea essere del paese del raglio, e tosto ne fece motto a Sancio dichiarandogli ciò che stava scritto su quello stendardo. Gli disse pure che chi avea loro narrato l’avvenimento del raglio, avea sbagliato nell’asserire che due giudici fossero quelli che ragliarono, perchè dal motto dello stendardo erano due alcadi. Allora Sancio Panza soggiunse: — Signore, non è da farne caso, mentre potrebb’esser che i giudici che ragliarono allora, fossero poi stati eletti alcadi di questo stesso paese, e perciò stava loro bene l’uno e l’altro titolo. E tanto meno è questa cosa da considerarsi quanto che nulla monta per la verità della istoria che i due ragliatori sieno alcadi o giudici, perchè corre tanto a risico di ragliare un alcade quanto un giudice. Riconobbero in fine, e seppero come il popolo che aveva avuto le beffe, andava ad azzuffarsi con l’altro, il quale si era fatto lecito di schernirlo più che non convenisse al giusto ed alla buona vicinanza. Don Chisciotte si appressò loro; ma con molto dispiacere di Sancio, cui non andò mai a sangue il trovarsi presente in simigliante giornate. Quelli dallo squadrone lo misero nel mezzo, supponendolo uno del loro partito, e don Chisciotte alzando la visiera, con gentilezza e con bel contegno pervenne fino allo stendardo dell’asino. Ivi se gli accostarono tutti i principali dell’esercito per vederlo, vinti dalia maraviglia in cui erano tutti coloro che l’osservavano per la prima volta. Quando egli si accorse di essere sì attentamente osservato senzachè veruno gli facesse alcuna dimanda, divisò di metter a profitto l’altrui silenzio, e rompendo il suo, alzò tosto la voce, e così si fece a parlare: — Quanto per me si possa io sono a pregarvi, miei buoni signori, che non isturbiate la concione che voglio ora farvi,