Documenti inediti sulla zecca di Correggio
Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
DOCUMENTI INEDITI
DELLA ZECCA DI CORREGGIO
Fra le carte lasciate dal compianto Prof. Biondelli, già Direttore del Gabinetto Numismatico di Brera, carte ch’io ebbi la fortuna di acquistare, ho rinvenuto due documenti inediti relativi alla zecca di Correggio. Sono due Concessioni di zecca stipulate fra Siro principe di Correggio e il suo zecchiere Agostino Rivarola. Unito a questi documenti sta un manoscritto autografo del medesimo Prof. Biondelli intitolato: La Zecca e le monete dei Signori di Correggio, illustrate con documenti inediti. Il lavoro fu cominciato nel 1868 e, a giudicarne dalle poche pagine di cui si compone, doveva essere una monografia completa delle monete di Correggio coll’aggiunta dei due documenti accennati.
Nel 1870 venne in luce l’opera del Bigi: Di Camillo e Siro di Correggio e della loro zecca; e forse allora il Biondelli, vedendosi in parte prevenuto, lasciò in tronco il suo lavoro e non vi pensò più.
Ora io credo interessante pei lettori della Rivista il pubblicare queste due Concessioni di zecca, tanto più che esse contengono il disegno di monete finora inedite e che forse rimasero sempre allo stato di progetto.
Premettiamo ora qualche cenno sulle vicende del principe Siro. Lasciando da parte le dolorose peripezie d’ogni genere, di cui fu vittima questo principe, forse più infelice che malvagio, accenneremo solamente a quelle che si riferiscono alla zecca. Siro, figlio naturale di Camillo principe di Correggio, e di Francesca Mellini, rimase erede dello Stato alla morte del padre nel 1605, e fu confermato nel principato con tutti gli annessi privilegi dall’imperatore Mattia, con suo diploma 13 febbraio 1615. In quell’anno appunto o nel seguente, la zecca cominciò a lavorare a nome di Siro; i primi contratti regolari di zecca, che si conoscono, però non hanno principio che nel 1617. Dopo soli tre anni, nel 1619 e 1620, cominciavano già i guai cogli zecchieri, i quali per avidità di guadagno commettevano le più enormi frodi nella lega dei metalli; sicché in breve tempo varii di essi furono sfrattati e sostituiti. Dalle case bancarie di Germania cominciavano intanto a giungere le più vive rimostranze sull’adulterazione delle monete italiane, la quale cagionava non pochi danni ai loro mercati. I principi italiani sapendosi tutti, dal più al meno, colpevoli di queste frodi, e visto il nembo che si addensava sul loro capo, si adoperarono in mille modi e col denaro e cogli intrighi e colle aderenze, finché riuscirono a far constare l’insussistenza di quelle accuse. Siro invece non si curò affatto di quei lamenti e continuò a battere moneta coll’usato sistema, limitandosi ad introdurre ne’ contratti di zecca maggiori cautele e facendo rigorosamente sorvegliare e controllare l’operato de’ suoi zecchieri. Dopo qualche anno, nel settembre del 1623, Siro fu accusato presso la Corte imperiale di Vienna come colpevole di grandi frodi nell’esercizio della sua zecca di Correggio. Fu dunque citato a comparire dinanzi all’imperial Consiglio, sotto pena di perdere il privilegio della zecca. Siro mandò un suo delegato a Vienna, per far giungere colà le sue ragioni e dimostrare che le accuse erano per lo meno esagerate. Le cose restarono a questo punto e per allora non se ne fece nulla. Siro si adagiò dunque nella speranza, che non si sarebbe pensato più che tanto a lui, e che nella peggiore ipotesi la condanna che gli poteva toccare sarebbe stata una multa in denaro, come prescrivevano le leggi. Senonchè dopo otto anni, nel 1630, la Corte di Vienna mandò il generale Aldringen ad intimare a Siro di costituirsi nella rocca di Novellara avanti il Commissario imperiale1. Intanto si compiva il sequestro ne’ suoi palazzi e l’arresto del suo zecchiere Agostino Rivarola. Fu immediamente istituito il processo e nel giugno di quell’anno stesso usci da Vienna la sentenza che dichiarava Siro nientemeno che decaduto dallo Stato. A nulla valsero le raccomandazioni, le proteste, le pratiche d’ogni genere fatte presso la Corte di Vienna per ottenere almeno una sentenza più mite. La Corte confermò la sentenza, col patto di redenzione mercè lo sborso di 230,000 fiorini d’oro, misura illusoria, stante la enormità del prezzo e l’impossibilità in Siro di sborsarlo. Nello stesso anno il Duca di Guastalla, in nome dell’Impero, prese possesso dello Stato di Correggio e minacciò severissime pene a quelli che avessero osato far opposizione. Nell’aprile dell’anno seguente 1631, Siro colla moglie e i figli e quel poco che aveva potuto salvare dalla rapacità de’ nuovi padroni, abbandonò Correggio e si rifugiò a Mantova. Visse così privatamente, guadagnandosi di che vivere colla vendita di qualche capo d’arte che ancora gli rimaneva, finché nel 1642, volendo fare un ultimo tentativo presso la Corte imperiale, si recò a Vienna in compagnia di un suo figlio. Colà, facendo valere tutti i suoi diplomi e privilegi, intercedette da prima per riavere il principato, poi si accontentò di chiedere le allodiali, in fine discese a chiedere gli alimenti; ma tutto gli fu negato. Ritornò scoraggiato e deluso a Mantova, dove passò altri tre anni nella miseria e nell'avvilimento, finché mori nel 1645.
Siro di Correggio, fu chiamato il falsario per eccellenza, e si disse che egli sorpassò tutti i suoi coetanei nel contraffare i tipi delle monete italiane ed estere in credito a quel tempo e nello speculare vergognosamente sulla lega dei metalli nobili. Forse però egli non fu più colpevole della maggior parte dei signorotti del suo tempo, i quali tutti, al par di lui, imitarono i tipi specialmente delle monete estere, frodando sul titolo dell’oro e dell’argento, come ad esempio quelli contemporanei di Messerano, Tresana, Desana, Frinco, ecc., ecc., i quali suscitarono spesso le più vive rimostranze de’ loro Sovrani, che di tanto in tanto si trovavano costretti a pubblicare de’ bandi per proscrivere dal mercato una buona parte delle loro monete, inferiori di titolo a quanto prescrivevano le leggi. In ogni modo la colpa degli abusi verificatisi nella coniazione delle monete di Siro va in gran parte attribuita a’ suoi zecchieri, i quali non rispettando i capitoli stipulati col loro Signore, specularono per proprio conto sulla zecca, tanto da meritarsi un dopo l’altro il licenziamento. Forse fu Siro un capro espiatorio per tutti, e la condanna inflittagli fu un avvertimento e una minaccia per tutti gli altri. Del resto l’accusa di adulterazione delle monete fu il pretesto dell’enorme condanna inflittagli; ma le cause vere e più influenti bisogna ricercarle in alcune private odiosità che il Principe Siro s’era tirato addosso, e nei maneggi politici di chi spiava un’occasione favorevole per ispogliarlo del principato e venirne in possesso. Gli editti monetarii di allora assegnavano una multa di cinquanta marche d’oro a coloro che avessero battuto monete non approvate dalla legge e in ogni caso il maximum della pena poteva essere la perdita del privilegio della zecca. La condanna toccata a Siro fu dunque per ogni verso ingiusta, come fu ingiusto ed iniquo il modo tenuto nell’istituire il processo contro di lui: lo provano ad evidenza i documenti, le cronache, le memorie del tempo, e le opere stesse di storici illustri ed imparziali. Non è nostro compito il far qui delle numerose citazioni ed esaminare quanto ne scrissero in proposito i contemporanei. Chi desiderasse consultare quelle fonti, le può trovare accennate nell’opera citata del Bigi. Del resto il giudizio su tale condanna fu concorde anche in quell’epoca. Fino da allora si elevarono generali proteste contro l’operato della Corte imperiale, e il notaio Tebaldo Serri con nobile coraggio stese una violenta protesta sull’atto ingiusto della Corte e sulla enorme violazione dell’editto monetario e del trattato di Ratisbona e la fece pubblicare per tutta Italia. Poco mancò che quell’atto generoso costasse la vita al coraggioso Serri; egli fu infatti condannato a morte, benché poi venisse graziato 2.
Fatti questi pochi cenni, veniamo ora ai due documenti inediti. Il primo di essi (vedi Tav. V) è datato da Correggio, li 22 ottobre 1620, e si riferisce alla concessione di battitura di talleri tipo olandese3.
Vi vediamo il disegno di tre impronte diverse da apporsi a monete d’argento del modulo ordinario dei talleri, senza indicazione di diritto e di rovescio.
Eccone la descrizione:
1. MO • NO • SYRI • AVS • P• I • C
Guerriero galeato in piedi che sostiene colla sinistra uno scudo col leone rampante, che ricopre la metà inferiore della persona.
2. CONFIDENS • DNO • NON • MOVETVR.
Un gran leone rampante che occupa tutto il campo.
3. MONETA • NOVA • CIVITATI • C •
Scudo inquartato di aquile e leoni rampanti, separati da una gran croce, nel cui centro è posto lo scudetto colla fascia, antico stemma del Casato. Lo scudo è attorniato da ricco collare e sormontato da corona.
Segue poi il contratto così concepito:
Concede S. E. Ill.ma a Gio. Agostino Rivarola al pñte Zecchiero durante tutta la sua locatione che possa metter nelle monete d’argento grosse li sopradetti impronti variatamente a suo piacere, risalvando sempre però il peso et bontà conforme alli capitoli agiustati. E per fede
Siro
Gio. Agostino Rivarola mano propria.
Il tipo de’ disegni n. 1 e 2 è precisamente quello dei talleri d’Olanda; quello n. 3 imita perfettamente il tipo di molti talleri delle città libere della Germania, n tipo olandese (n. 1 e 2) era già stato imitato dal principe Camillo padre di Siro; ma di quest’ultimo non conosco alcuna moneta che gli assomigli.
Veniamo ora al secondo documento (vedi Tav. VI) in data del giugno 16224. Precedono lo scritto i disegni di una moneta da battersi del valore di soldi quattro e sono i seguenti:
D/ — SYR • AVSTRIA • PRIN + P • C • ET • DE • S • R • IMP • C • F •
Aquila bicipite coronata e col globo crucigero in petto, sul quale e segnato il numero 48.
R/ — MONET • NOVA • ARGENTEA • CIVI • COR •
Grande scudo ovale composto di molti quarti; nel mezzo le aquile inquartate con leoni rampanti, in giro altri leoni rampanti, il leone gradiente, il sole, la fascia, la correggia, stemma della città, l’aquila ed il giglio: il tutto sormontato da corona imperiale e attorniato da ricco collare.
Ora ecco le parole del Contratto:
S. E. Ill.ma concede a Gio. Agostino Rivarola una moneta de bontà d’onze una p. lib.a et n’anderà alla libra pezzi cinquanta cinque, nella qle potrà mettere li suddetti impronti, et le potrà spendere nello stato di S. E. Ill.ma p soldi quatro luna, et le potrà far più greve, ma non più leggiere, et p. honoranza pagarà lire tre p. libra, et p. fede la pñte sarà sotto scritta di mano di S. E. Ill.ma
Il dì .... Giugno 1622.
Siro
Gio. Agostino Rivarola mano propria.
Questa moneta è un’imitazione perfetta delle monete contemporanee da 48 stüber di varie città austriache.
Siro di Correggio, invece di imitare le buone monete italiane dell’epoca, sceglieva di preferenza a modello il tipo delle monete straniere, forse perchè meno conosciute, e quindi più difficile il sapere da quale officina uscissero e potessero poi avere facile corso anche oltralpe. Cosi fecero anche i Gonzaga a Bozzolo e Guastalla, gli Spinola a Tassarolo, i Tizzoni a Desana e in generale tutti i feudatarii dell’alta Italia.
Note
- ↑ Bigi. Opera citata, pag. 82.
- ↑ Bigi. Opera citata, pag. 83.
- ↑ In testa al documento sta scritto in forma di protocollo:
“2a concessio exhibita p, Jo. Aug. Rivarolam de m. (mandato) Ill. et excell. d. (domini) Pomponij Spillmberghi subd. (subdelegati) Cesarei, ut in actis sub die 7 maij 1627.” - ↑ In alto al documento vi vediamo, come nel precedente, l’indicazione protocollare: Septima concessio exhibit. per Aug. Rivarolam d. m. ill. et excell, d. Pomponij Spilimberghi subd. Cesarei, ut in actis, sub die 17 Maij anno 1627.