Dissertazioni filosofiche/Dissertazione sopra l'ente in generale

Dissertazione sopra l'ente in generale

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Sopra la logica universalmente considerata Dissertazione sopra i sogni

[p. 33 modifica]      Ente è ciò, che esiste, il mondo tutto è un ente, enti pur sono le parti tutte del mondo. S’ode tuttogiorno un tal nome, non così spesso però le sue vere proprietà, le sue generali, e particolari affezioni s’ascoltano in modo consentaneo alla retta ragione. Che anzi inutile da molti vien riputata quella scienza, che i varj principj dimostra intorno agli enti, l’Ontologia. Varie confuse, ed oscure dottrine vengono dai scolastici proposte, e queste si dicono sufficienti alla perfetta cognizione degli esseri. L’argomento, che adducono a prova di ciò egli è esser troppo nota ad ognuno la dottrina degli enti, ed in conseguenza dell’Ontologia. Ma se per mezzo della Logica artificiale i dogmi si spiegano della naturale perchè non si dovrà porre in chiaro per mezzo degli Ontologici artificiali principj ciò, che il lume della [p. 34 modifica]ragione ci fa apertamente conoscere intorno agli enti? Necessarj sono alcerto quei dogmi che i precetti naturali ci additano necessarie sono, per conseguenza le chiare, e distinte nozioni degli esseri. Nè, a mio credere, a troppo umili studj dovrà l’uomo abbassarsi considerando le proprietà, e le varie affezioni dell’universo, di ciò che lo compone, e di se medesimo. Se tutto ciò, che a noi si presenta esiste, non sarà certo difficile all’assiduo contemplatore della verità il ritrovare nella propria quotidiana esperienza le prove di quello, che negli Ontologici principj viene affermato.

Un essere non può sussistere insieme, e non sussistere. È questo un assioma proposto dallo Stagirita Filosofo, e dall’Angelico Dottor delle scuole come principio di cognizione, al quale per mezzo de’ Logici argomenti possano esser ridotti i pertinaci oppugnatori della verità, e costretti, o a dimostrarne la falsità ciò, che impossibile è per se stesso, o a darsi finalmente per vinti. Altri Filosofi, tra’ quali il celeberrimo Cartesio diversi principj propongono ad un tal fine. Quale tra questi debba prescegliersi noi non ci tratterremo a dimostrare non appartenendo ciò in alcun modo alla dottrina degli esseri.

Altro principio dai Filosofi proposto, come necessario alla perfetta cognizione degli enti, egli è che nulla può nell’universo sussistere senza ragion sufficiente della sua esistenza. Questa può ricercarsi in qualsivoglia ente, in qualsivoglia lor pro[p. 35 modifica]prietà, ed in qualsivoglia occasione poiché se ciò non si ammettesse il nulla potrebbe ancor sussistere non essendovi alcuna ragion sufficiente della sua niuna esistenza. Dagli avversarj del sopraddetto principio dimostrar si dovrebbe che alcuna causa non può esservi di quegli esperimenti, di cui la ragione soltanto s’ignora il che dimostrar non potendosi alcerto, resterà sempre ferma, ed inconcussa la verità dell’ac[cen]nata proposizione.

Viene finalmente dai Filosofi annoverato tra le principali sentenze spettanti alla dottrina degli esseri quel principio, il quale afferma, che l’assoluta possibilità delle cose non è soggetta in alcun modo al Divino volere, cioè che l’Ente supremo non può rendere impossibile ciò, che è possibile, e vicendevolmente possibile ciò, che è per se medesimo impossibile, e repugnante. Una matura riflessione toglierà da siffatto principio quell’assurdo apparente, che a prima vista presentasi all’occhio ancora del più sagace indagatore del vero. Sono queste le principali leggi, che regolar debbono la natura, le proprietà, e le dottrine tutte degli esseri. Passeremo noi dunque partitamente ad esaminarle, e quei principali dogmi additeremo, che negli Ontologici studj vengono esposti.

Il nome di ente conviene non solo a ciò che attualmente sussiste ma a ciò ancora la di cui esistenza non ripugna, e non è per se stessa fisicamente impossibile, ossia ciò la di cui essenza [p. 36 modifica]non implica in se medesima alcuna contradizione. L’essenza delle cose possibili, ed impossibili dal chiarissimo P. Francesco Suarez vien definita «primum ac radicale, et intimum principium omnium actionum, et proprietatum, quae rei conveniunt». Se però a tutto ciò, che sussiste attribuir si può il nome di ente non così può l’esistenza attribuirglisi poiché, come afferma il volgare scolastico assioma, dalla possibilità dell’essenza di un ente non può dedursi la sua esistenza, come dalla medesima può dedursi la sua possibilità.

L’esistenza vien definita il compimento della possibilità, ovvero l’attualità di un essere. La possibilità delle cose è, al dir dell’Abate Sauri «estrinseca, ossia rispettiva, ed intrinseca, ossia assoluta, o primitiva. La possibilità intrinseca consiste nella sociabilità degli attributi, oppure consiste in questo, che l’essere considerato in se stesso non richiude veruna contradizione. La vera essenza, e la sociabilità degli attributi sia ella attuale, o possibile costituiscono una sola, e medesima cosa. La possibilità poi estrinseca consiste in questo, che un qualche essere è idoneo a ricevere l’esistenza, e può esistere. Ora dipende dalla volontà Divina che un essere intrinsecamente possibile riceva, o no l’esistenza, e conseguentemente si vede, che la possibilità estrinseca dipende affatto da Dio». Dal Divino volere adunque dipende, che un ente possibile esista, o non esista, non così però, che una cosa [p. 37 modifica]sia possibile, ovvero impossibile, poiché, se ciò fosse, come affermano stoltamente i Cartesiani, Iddio far potrebbe, che un ente possibile fosse ancora impossibile, onde Iddio vorrebbe talvolta, o potrebbe almeno volere ciò, che ripugna, il che è per se stesso un assurdo evidente.

Ciascun ente ha in se medesimo le proprie particolari affezioni, quali se ad esso sieno necessariamente inerenti appellansi essenziali, ed accidentali se l’essere, nulla cangiando di sua natura, può di queste mancare. Il nome di affezione si estende ancora alle proprietà estrinseche di un ente, le quali non esprimono, che la relazione tra due, o più esseri come per cagion d’esempio se dicasi, che un corpo è maggiore, o minore di un altro. Gli enti relativamente agli altri esseri sono o i medesimi, o diversi, o simili. Se due globi sieno dello stesso peso, dello stesso colore, dell’istessa figura, e grandezza l’uno dell’altro, questi dir si possono essere i medesimi. Che se poi, per cagion d’esempio, un fiume abbia i due nomi di Istro, e Danubio, ciò, che può dirsi dell’Istro dir si potrà ancor del Danubio, e perciò e l’Istro, e il Danubio diconsi essere numericamente le cose medesime. Diversi tra loro sono quegli enti, de’ quali l’uno all’altro non può esser sostituito senza sconvolgere in qualche modo l’ordine primitivo. Simili sono finalmente quegli esseri [p. 38 modifica]tra’ quali si scorge una perfetta uguaglianza di proporzione, e figura sebbene sotto diverse grandezze.

L’ente esser può singolare, o universale. L’ente singolare altro non è che ciò, che è intieramente determinato riguardo a tutte le sue proprietà, ed affezioni. Noi diciamo ente universale ciò, che non è determinato se non relativamente a quelle proprietà, che spettano a tutti gli altri esseri del proprio genere.

Se, per cagion d’esempio, noi ci rappresentiamo alla mente un triangolo non considerandolo che come un piano di tre angoli, e linee senza determinarne la misura, la grandezza, e la proporzione, dicesi, che noi lo consideriamo come un ente universale. È però da osservarsi, che quest’ente universale non può sussistere, che nella mente dell’uomo, laddove un essere singolare può, e sussistere in essa, e godere della vera attuale esistenza.

Ciascun ente appellasi supposto purché egli non sussista, che in se medesimo quindi un ramo d’albero non può dirsi un supposto perchè egli non sussiste separatamente in se medesimo, ma sussiste, e forma unitamente all’albero istesso un tutto insieme. Un supposto ragionevole appellasi persona; ciascun supposto irragionevole conserva sempre, ed in qualunque circostanza il nome medesimo. I supposti possono fra loro congiungersi con varie leggi. Una sostanza può unirsi ad un’altra di es[p. 39 modifica]sa più nobile dipendendo quest’ultima dalla prima nelle sue operazioni; in questo caso non verrà formato che un solo supposto di due sostanze, ciascuna delle quali dipende dall’altra, come l’uomo. Se poi la più ignobil sostanza dipende nelle sue operazioni dalla più nobile senza, che questa dipenda in alcun modo dall’altra, la più nobile sarà il solo supposto come avviene nelle due nature umana, e Divina del Verbo. Se finalmente due sostanze di ugual perfezione si uniscano insieme come, per cagion d’esempio due goccie d’acqua cessano in questo caso ambedue di esser supposti per non comporne, che un solo.

Ciascun supposto esser deve, o necessario, o contingente. Una cosa qualunque dicesi necessaria quando la cosa opposta si è affatto impossibile. Perciò il solo supposto necessario è l’Ente supremo poiché di lui solamente può dirsi essere affatto impossibile, che egli non esista. Gli altri esseri diconsi contingenti, ovvero necessarj ipoteticamente. Così un triangolo è un essere contingente poiché non è alcerto impossibile, che egli non esista. Posto però che questo triangolo esista è necessario ancora, che esista la di lui base, la quale dicesi ipoteticamente necessaria, e la cosa opposta ipoteticamente impossibile. Dicesi poi moralmente necessario quello, il di cui opposto può difficilmente avvenire. Così posta l’esistenza di un albero fecondo sarà moralmente necessaria nell’opportuna stagione l’esistenza [p. 40 modifica]delle sue fronde. Tutto ciò che è assolutamente, ipoteticamente, o moralmente necessario, essendo le cose opposte assolutamente, ipoteticamente, o moralmente impossibili, dovrà essere ancora immutabile secondo l’assoluta, ipotetica, o morale sua necessità. Ciò posto l’essenza di un essere contingente, ed i suoi essenziali attributi sono necessaij, immutabili, ed eterni, poiché, come si esprime il prelodato Sauri «Ella è cosa evidente, che Dio conosce da tutta l’eternità l’essenze delle cose, e però le prefate essenze esistono da tutta l’eternità nell’intelletto Divino, considerandolo in questo senso, che Dio da tutta l’eternità conosce ciò, che sarà una qualche cosa allorché averà ella la sua esistenza, ovvero ciò, che sarebbe una qualche cosa se mai dovesse esistere. L’essenza di un circolo deve essere la rotondità, e però è ella una verità eterna, che un circolo non può esistere senza esser rotondo: ed in questo senso l’essenza del circolo e necessaria, ed eterna, non già nel senso, che il circolo esista necessariamente, e da tutta l’eternità. Così parimenti è impossibile, che un triangolo esista senza tre lati, e senza tre angoli; ed una tal cosa è sempre stata, e sarà sempre impossibile. Dunque egli è vero, che da tutta l’eternità il triangolo non può esistere senza i tre lati, e senza i tre angoli. Dunque è fuor di ogni dubbio che le essenze, e gli attributi essenziali degli esseri contingenti sono necessarj, immutabili, ed eterni».

Un ente qualunque esser deve, o semplice, o composto. Noi non intendiamo per essere semplice, che ciò, che non ha parti chiamando essere composto quello che di esse è formato. In conseguenza di ciò un essere semplice non può nascere, che [p. 41 modifica] dal nulla, ed il fine della sua esistenza non può essere che un totale annichilamento. Ed infatti l’essere composto produr non potrà certamente un essere semplice, poiché secondo il volgare assioma nulla è nell’effetto, che non si ritrovi ancor nella causa parlando dell’essenza, e degli essenziali attributi della cosa.

L’essere semplice non potrà neppur egli produrre un essere della stessa natura poiché non avendo egli parti niente può da esso separarsi, onde l’essere semplice nascer non può, che dal nulla. Così non potendo le sue parti disciogliersi per esserne affatto privo egli non può aver fine, che riducendosi al nulla per non esservi altro genere di morte, che possa por termine alla sua esistenza. La sua nascita, e il suo fine esser debbono necessariamente istantanei poiché le sue parti non possono successivamente unirsi, nè disciogliersi essendone egli mancante.

Devesi però osservare che noi non intendiamo per istante che un tratto di tempo affatto indivisibile. Un essere semplice dicesi ancora infinito, e finito un ente composto, il che esprime esservi in un ente semplice ad ogni istante tutti gli attributi essenziali, che possono appartenergli ciò, che avvenir non può in un ente composto.

Così pensa lo spregiudicato Filosofo sopra gli esseri, e sopra quella scienza, che ci apre la via alle altre sublimi Metafisiche dottrine. Parmi alcerto, che dai dogmi finora enunciati abbastanza dimostrisi l’utilità degli Ontologici studj a fronte de’ contrarj argomenti, e degl’insensati avversarj. [p. 42 modifica]