Discorso sul testo della Commedia di Dante/II
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II. Qui dov’io scrivo, le minuzie sono istituto di Università, dove inculcano doversi interpretare gli antichi in tutti i significati veri, probabili, immaginabili, e quanti ne stanno fra’ termini inconcepibili del possibile; per ciò che l’acume, l’ingegno e l’erudizione de’ critici gratifica i dotti di caldissima ammirazione.1 Daniele Uezio, mecenate malfortunato, e se ne pentì amaramente, delle illustrazioni tutte de’ classici per gli studj del Delfino di Francia,2 spendeva anch’ei molta parte della sua vita a far da commentatore, e stimò che i sudori assidui per trecento e più anni dopo il risorgimento delle lettere, avessero alloramai procacciato allori e riposi alla critica emendatrice3. Ma io vedo vivente e gloriosa la progenie di que’ valenti, i quali dal regno di Vespasiano in Roma al regno di Anastasio in Costantinopoli disossavano tutte le odi e i cori de’ Greci a ridurli alle strofe simmetriche delle nostre canzoni4. Il famosissimo de’ Bisantini aveva nome Eugenio Frigio; e le filologiche sue prodezze sono narrate da Svida. La posterità nomini i miei contemporanei; e di certo conoscerà i loro emuli: da che per quanto Orazio ridica alle scuole che Pindaro numeris fertur lege solutis, chi può dir quando si ristaranno mai dal provarsi a indurlo a cantare co’ ritornelli metastasiani? La filologia, che fa pompa del niente e nessun uso del poco che solo può dare e che le lettere le domandano, non è ella giuoco di penne e di menti inquiete insieme ed inerti? Pur anche in Inghilterra le Università hanno la loro plebe, e vuole ammirare —
Aut aliqua ratione alla ducuntur: ut omne |
Pur, da che la gioventù non gli ode spiegati da’ frati, gli scrittori Greci e Romani e gli antichi per lo più d’ogni popolo giovano alla repubblica: non perchè insegnino teorie di libertà naturale e di diritti imperscrittibili, quando anzi per essi tutto diritto ed obbligo erano decretati dal fatto e dalla vittoria. Nè quegli scrittori guardavano il mondo, nè vedevano uomini fuori delle loro città; onde divezzano dall’osservare le somiglianze e dissomiglianze fra le nazioni, e derivare un sistema politico dalle origini prime delle diverse società sulla terra. Tuttavia rappresentano individui fortissimi, nobili imprese, anime maschie; allettano la fantasia ad illusioni eroiche; concentrano il cuore alla patria e all’ardore di fama guerriera; però movono a fatti più che a speculazioni a difendere la libertà. Certo, qui dove scrivo, alcuni che furono esercitati sino dalla prima gioventù a pesare sillabe e accenti su’ classici, oggi primeggiano autori popolari, e poeti nuovi, ed eloquenti fra gli oratori. Se non che molta, se forse non tutta, originalità viene a genio dalla attitudine d’arricchirsi di tutto da tutti, a fare suo proprio l’altrui, e rimodellare e immedesimare ogni cosa, sia straniera o antichissima; tanto da trasformarle che assumano le sembianze e le qualità confacenti a nuova età e altro popolo. E vedo la letteratura in Inghilterra quasi fiume ampliatosi rapidamente per lontanissimo corso da mille ignote sorgenti confluenti da più secoli sino ad oggi da tutte le parti, a innaffiare nuove campagne. La libertà della patria aggiunge anima all’ardire, e generosità alle passioni, e vigore alla mente onde il genio, non sì tosto si libera dalla tutela delle scuole, va quanto può e come vuole.
Note
- ↑ Quarterly Review, vol. IV, pag. 109.
- ↑ Vel levius, quam putabam, tincli literis; vel impatientes laboris, quam mihi commoverant expectationem sui fefellerunt, (quid enim dissimulem?) adeo ut necquaquam par fuerit operum omnium dignitas. De Vita sua Com., pag. 288, Amstel., 1718.
- ↑ Loc. cit.
- ↑ In odeo molestos incidimus grammaticos qui lyricorum quaedam carmina in varias mensuras coegerunt. Quintiliano, lib. IX, 4.