Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 30

../Capitolo 29

../Capitolo 31 IncludiIntestazione 13 settembre 2022 75% Storia

Libro primo - Capitolo 29 Libro primo - Capitolo 31


[p. 111 modifica]

CAPITOLO XXX


Quali modi debbe usare un Principe o una Repubblica per fuggire questo vizio della ingratitudine, e quali quel Capitano o quel Cittadino per non essere oppresso da quella.


Un Principe per fuggire questa necessità di avere a vivere con sospetto, o essere ingrato, debbe personalmente andare nelle espedizioni, come facevano nel principio quelli Imperadori romani, come fa ne’ tempi nostri il Turco, e come hanno fatto e fanno quelli che sono virtuosi. [p. 112 modifica]Perchè vincendo, la gloria e lo acquisto è tutto loro: e quando non vi sono, sendo la gloria d’altrui, non pare loro potere usare quello acquisto, s’ei non spengono in altrui quella gloria che loro non hanno saputo guadagnarsi, e diventare ingrati ed ingiusti; e senza dubbio è maggiore la loro perdita, che il guadagno. Ma quando o per negligenza o per poca prudenza e’ si rimangono a casa oziosi, e mandano un Capitano, io non ho che precetto dar loro altro, che quello che per loro medesimi si sanno. Ma dico bene a quel Capitano, giudicando che non possa fuggire i morsi della ingratitudine, che faccia una delle due cose, o subito dopo la vittoria lasci l’esercito, e rimettasi nelle mani del suo Principe, guardandosi da ogni atto insolente o ambizioso, acciocchè quello spogliato d’ogni sospetto abbia cagione o di premiarlo, o di non l’offendere; o quando questo non gli paja di fare, prenda animosamente la parte contraria, e tenga tutti quelli modi, per li quali creda che quello acquisto sia suo proprio e non del Principe suo, facendosi benevoli i soldati ed i sudditi, e faccia nuove amicizie coi vicini, occupi con li suoi uomini le Fortezze, corrompa i principi del suo esercito, e di quelli che non può corrompere sì assicuri, e per questi modi cerchi di punire il suo Signore di quella ingratitudine che esso gli userebbe. Altre vie non ci sono; ma, come di sopra si disse, gli uomini non sanno essere nè al tutto tristi, nè al tutto buoni. E sempre interviene [p. 113 modifica]che subito dopo la vittoria, lasciare lo esercito non vogliono, portarsi modestamente non possono, usare termini violenti, e che abbiano in sè l’onorevole, non sanno. Talchè stando ambigui, tra quella loro dimora e ambiguità, sono oppressi. Quanto ad una Repubblica, volendo fuggire questo vizio dello ingrato, non si può dare il medesimo rimedio che al Principe; cioè che vada e non mandi nelle espedizioni sue, sendo necessitata a mandare un suo cittadino. Conviene pertanto che per rimedio io le dia, che la tenga i medesimi modi che tenne la Repubblica romana, ad esser meno ingrata che le altre; il che nacque dai modi del suo Governo. Perchè adoperandosi tutta la Città, e gli Nobili e gl’Ignobili, nella guerra, surgeva sempre in Roma in ogni età uomini virtuosi, e ornati di varie vittorie, che il Popolo non aveva cagione di dubitare di alcuno di loro, sendo assai, e guardando l’uno l’altro. E intanto si mantenevano interi, e rispettivi di non dare ombra di alcuna ambizione, nè cagione al Popolo come ambiziosi d’offenderli, che venendo alla Dittatura, quello maggior gloria ne riportava, che più tosto la deponeva. E così non potendo simili modi generare sospetto, non generavano ingratitudine. In modo che una Repubblica che non voglia avere cagione d’essere ingrata, si debbe governare come Roma; e uno cittadino che voglia fuggire quelli suoi morsi, debbe osservare i termini osservati dai cittadini romani.