chè vincendo, la gloria e lo acquisto è tutto loro: e quando non vi sono, sendo la gloria d’altrui, non pare loro potere usare quello acquisto, s’ei non spengono in altrui quella gloria che loro non hanno saputo guadagnarsi, e diventare ingrati ed ingiusti; e senza dubbio è maggiore la loro perdita, che il guadagno. Ma quando o per negligenza o per poca prudenza e’ si rimangono a casa oziosi, e mandano un Capitano, io non ho che precetto dar loro altro, che quello che per loro medesimi si sanno. Ma dico bene a quel Capitano, giudicando che non possa fuggire i morsi della ingratitudine, che faccia una delle due cose, o subito dopo la vittoria lasci l’esercito, e rimettasi nelle mani del suo Principe, guardandosi da ogni atto insolente o ambizioso, acciocchè quello spogliato d’ogni sospetto abbia cagione o di premiarlo, o di non l’offendere; o quando questo non gli paja di fare, prenda animosamente la parte contraria, e tenga tutti quelli modi, per li quali creda che quello acquisto sia suo proprio e non del Principe suo, facendosi benevoli i soldati ed i sudditi, e faccia nuove amicizie coi vicini, occupi con li suoi uomini le Fortezze, corrompa i principi del suo esercito, e di quelli che non può corrompere sì assicuri, e per questi modi cerchi di punire il suo Signore di quella ingratitudine che esso gli userebbe. Altre vie non ci sono; ma, come di sopra si disse, gli uomini non sanno essere nè al tutto tristi, nè al tutto buoni. E sempre interviene