Discorsi politici (Guicciardini)/XI. - Sullo stesso argomento. In contrario
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | X. - Sulla proposta di alleanza fatta da Carlo V ai Veneziani | XII. - Sulla proposta di alleanza fatta da Carlo V a Clemente VII | ► |
XI
[Sullo stesso argomento.]
In contrario.
Io lascerò, onorevoli senatori, e’ proemi da parte, perché noi siamo in termini che ci bisogna piú conclusione che parole, ed è tanto cognosciuto da ognuno la importanza di questa deliberazione, che è superfluo lo avvertirlo. Lo imperadore ci ricerca di accordo con condizione, se non buone e secondo la degnitá di questa republica, almanco secondo la natura de’ tempi assai tollerabile; ed in effetto tale, che se non ci fussi altro male che e’ capitoli che si propongono, nessuno farebbe difficultá di accettarli; proponci la guerra di presente in caso che recusiamo lo accordo, e nessuno di noi è che dubiti questa essere guerra perniziosissima, la quale soli abbiamo a sostenere con uno principe sí potente e fortunato, con uno esercito dove sono buoni capitani e buoni soldati, e che sono in reputazione grande per la astuzia loro, per la virtú militare e per essere in sul corso delle vittorie. Noi da altro canto esausti per le lunghe e continue spese, né pari di esercito agli inimici, perché abbiamo soldati mercennari raccolti tumultuosamente donde si possono avere, né quello numero di buoni capitani che sarebbe necessario al modo che noi vogliamo tenere di difendere le terre; s’ha a fare la guerra in sul nostro, che oltre a essere pericolosissima per infiniti accidenti che possono nascere e di rebellione e di altri casi, ci torrá al primo colpo tutte le entrate e publiche e private di terraferma.
Ed in effetto non possiamo avere peggiore nuova che avere di presente questa guerra; però secondo le regole che danno e’ savi, è uficio nostro allungare quanto possiamo, e fare ogni opera perché questo male che noi temiamo differisca a cominciare el piú che si può; atteso che le cose del mondo sono sí varie, che infiniti casi di morte ed altri accidenti che non possiamo pensare, possono in processo di tempo accadere, che ci liberrebbono di questo travaglio; ché, come dice el proverbio, chi ha tempo ha vita. E differirla non si può, se non col fare questo accordo el quale è alla fine, de’ partiti cattivi, el manco malo. A questo, chi ha parlato innanzi a me ha risposto che el temporeggiare sarebbe buono se non si augumentassi el male, ma quanto piú si differisce, tanto el male diventa maggiore, perché si dá facultá agli inimici mediante lo accordo nostro di appropriarsi totalmente lo stato di Milano, acconciare a suo modo el papa e fiorentini, di natura che, se mai venissi tempo che e’ franzesi desperati dello accordo volessino passare in Italia e collegarsi con noi, o non ardirebbono farlo vedendo gli inimici tanto cresciuti di forze e di riputazione, o se lo facessino, saremo piú deboli, valendosi gli imperiali de’ danari e stati di coloro che se si fussino conservati sarebbono forse in compagnia nostra; però debbiamo fare ogni cosa perché non abbino tanta facilitá di stabilire el resto di Italia a suo proposito, e perché a’ franzesi non abbia a mancare lo animo di passare; massime che le pratiche di Spagna sono in termine che ragionevolmente o seguiterá presto lo accordo, o’ franzesi si despereranno avere la pace e si volteranno forse alla guerra.
In questo caso io sono di opinione diversa, perché non mi pare che se la guerra si differissi a altro tempo, che l’avessi a portare seco maggiore difficultá e pericoli che l’abbia di presente, anzi, che quelle medesime condizione che l’ará allora l’abbia anche ora, chi considera bene. Principalmente Milano è in termini che, o accordando o non accordando noi, non ha rimedio, perché da Milano in fuora hanno tutto lo stato in mano, e quello non è confortato da nessuno, non ha forze né sussidio alcuno, e poi che hanno preso el Morone, è levato via quanto vigore vi era: el duca inutile per la infirmitá grave, e perché ordinariamente è sanza consiglio e sanza cuore, in modo che non solo la cittá, ma ancora el castello a giudicio mio porta pericolo di qualche accordo.
Del resto di Italia non accade parlare, perché tutto depende dal papa, el quale è sí timido ed irresoluto, che piú presto si lascia andare alla morte certa, che volere correre pericolo di morire, ed in effetto non è per muoversi se non a partiti sicurissimi, cioè in caso che si muovino franzesi e tutto el mondo. Però la conservazione sua e de’ fiorentini ci fa poco o niente, non si potendo da loro sperare virilitá alcuna, ed essendo disarmati di sorte che sanza essere manomessi altrimenti, a ogni minima lettera di costoro gli sovveniranno di danari e di ciò che saranno ricerchi. Non veggo adunche che la conservazione di costoro ci faccia tanto frutto che per questo abbiamo a pigliare la guerra, massime che a giudicio mio quello che noi possiamo sperare a altro tempo da Francia non è diverso da quello che noi n’abbiamo veduto a’ mesi passati; perché ci saranno sempre le medesime ragione e forse qualcuna piú. Se si fa la pace tra’ re, il che io non credo per le difficultá che saviamente sono state allegate, questa è per noi mala nuova, ma è ancora peggiore se non areno accordato, perché sanza alcuno rispetto, o sanza aspettare altra giustificazione, areno subito la guerra adosso; dove se areno accordato, questo principe che fa pure professione di fede e di bontá vera o simulata, si vergognerá forse a romperci lo accordo innanzi che e’ capituli siano asciutti. Né io aspetto che la pace tra loro possi essere tale, che el re di Francia non l’abbia a osservare, perché la sicurtá sará piú dal canto dello imperadore, poi che ha el giuoco in mano; e quando bene fussino del pari, questa nazione è tanto piú astuta, che sempre tratterá el franzese da balordo.
Se la pace tra questi re non si fa, io non spero meglio, perché allo spagnuolo non mancherá arte di trastullare la pratica in modo che con facilitá terrá piú lungamente in speranza la simplicitá del franzese; massime che Madama che ha el pondo, è donna ed è madre, da spiccarsi mal volentieri di queste speranze. E di poi quando bene e’ franzesi desperassino dello accordo, io non spero che faccino la impresa di Italia, perché ora che hanno fatto la lega con Inghilterra non temono piú la guerra in Francia; però non gli muove la necessitá dello assicurarsi, massime che loro natura è non considerare e’ pericoli lontani e stimare poco le cose che non sono presente. E’ baroni e la nazione sono stracchi, ed abominano naturalmente la impresa di Italia, dove hanno perso tanta nobilitá; sono stati battuti tante volte, che hanno in orrore el nome di questa provincia; la speranza di recuperare el re per via della guerra di Italia, non gli moverá perché è cosa troppo lontana; el governo oltre alla madre è in piú príncipi, che forse tutti non desiderano la liberazione del re: sono di vari pareri, invidiosi l’uno dell’altro, ed in fatto franzesi pieni di leggerezza e di vanitá, ed inviliti per tante percosse, da’ quali non abbiamo aspettare impresa prudente o virile.
Tirerenci adunche ora la guerra addosso sotto speranze che a giudicio mio ci mancheranno, e perdereno quelli benefici che qualche volta porta seco el tempo; dove che accordando, la guerra si differisce, e può intratanto venire qualche aiuto alle cose nostre che noi non veggiamo; né per questo accordo si toglie la via di venire e’ franzesi in Italia, quando loro vi si inclinassino, ed a noi paressi che e’ progressi di Cesare fussino tali che fussi a proposito nostro el conducerli; perché avendo seco e’ svizzeri e noi, ancora che questi avessino occupato lo stato di Milano e battuto el resto di Italia, possono gagliardamente tentare questa impresa; di che abbiamo veduto esperienzia, che altre volte l’hanno tentata con minore opportunitá e con piú ostaculi.
Questo re che ora è prigione, la prima impresa che e’ fece in Italia doppo la incoronazione sua, ebbe contrario lo imperadore, el re di Spagna, svizzeri, papa Leone, fiorentini, e da noi in fuora, Italia tutta; e nondimeno con lo aiuto di noi soli ardí di farla e la ottenne. Però molto piú, volendo noi, potranno tentarla ora che saranno stimolati e forse aiutati da Inghilterra: arebbono e’ svizzeri, che alle cose di Milano sono di grandissima importanza; e’ popoli di Milano, che per desiderare uno duca particulare, gli sarebbono inimici vedendo costoro insignoriti dello stato; el resto di Italia quanto piú fussi oppresso da loro, piú forse in una tale occasione si risentirebbe per desperazione, o almanco non ne trarrebbono quella commoditá che speravano trarre dal papa e gli altri, quando volontari erano con loro. Non leva adunche lo accordo nostro la via a’ franzesi di venire in Italia, se giá noi per non osservare la fede e le capitulazione recusassimo di unirsi con loro; sopra che non è al presente tempo di disputare, né di mettere sanza proposito in compromesso la fede publica, perché io sempre conforterei a osservare gli accordi quando non sono fatti per timore e per forza, perché in tale caso obligano piú presto la parola che la voluntá, e quando la ambizione ed andamenti di coloro con chi l’uomo ha capitulato, non si vedessino tali che ci dessino dottrina come ci avessimo a governare.
Considero piú oltre che tre cose sono di che abbiamo di temere: la guerra di presente, cioè in tempo che e’ franzesi siano ancora attaccati alle speranze della pace, perché mentre che loro sono in questa pazzia, non possiamo sperare di loro che sono abagliati da questa speranza, né del papa ed altri di Italia che stanno irresoluti per el timore che la pace non séguiti, e di non patire da tutt’a dua; abbiamo da temere come gli altri della pace di questi re, che, seguendo, sará con espressi capituli a danno nostro; ed in ultimo che, non seguendo lo accordo tra loro, lo imperadore o passato che sará in Italia, o ingagliardite e fondate bene per altra via le cose sue, non ci rompa guerra; ne’ quali pericoli tutti, se io non mi inganno, abbiamo piú disavantaggio non accordando che accordando. Perché quanto alla guerra di presente, ed in tempo che e’ franzesi ancora pendono dalle speranze della pace, lo accordarci ce ne libera, che sanza dubio la manderá tanto oltre che loro saranno certificati; non accordando, abbiamo da temerla, come ne veggiamo le demostrazione, di che parlerò di sotto.
Quanto al secondo caso, se la pace si fa tra’ re e lo imperadore ci voglia assaltare, l’avere accordato o no non ci giova né nuoce; pure potrebbe essere che la vergogna dello accordo sí frescamente fatto, ed el non avere colore alcuno di giustificazione, gli fussi freno almanco a differire qualche tempo, e cosí in questo caso l’avere noi accordato non ci può nuocere; piú tosto ci può giovare almanco a darci qualche dilazione, che a chi è in partiti stretti non è di poco beneficio. Nel terzo caso, cioè quando e’ franzesi siano disperati della pace, non veggo che lo accordo nostro ci nuoca, perché se lo imperadore ci vorrá offendere, potreno valerci de’ franzesi, quando avessino voluntá di passare in Italia, non altrimenti che se lo accordo non fussi fatto, massime che le forze loro, de’ svizzeri e nostre, saranno bastante a ogni impresa; e quello beneficio che noi potremo sperare dal papa e gli altri di Italia, non è in questo caso sí grande né sí certo, che per questo abbiamo a volere perdere di godere el beneficio del tempo, dal quale possiamo sperare molto piú. E se lo imperadore, ancora che ci avessi malo animo, pensassi a fare prima guerra in Francia che offendere noi, questa impresa potrebbe tirarsi drieto tante difficultá e tanti casi, che questa sí lunga dilazione sarebbe la salute nostra.
Però in qualunque di questi tre casi, da’ quali dependono e’ pericoli nostri, o el fare lo accordo ci reca qualche frutto, o non ci dá tale danno che non sia molto piú utile godere, come dicono e’ savi, el beneficio del tempo. E perché quello pericolo che importa piú è la pace tra’ re, conciosiaché in questo caso potremo essere battuti tra le forze dell’uno e dell’altro, ed almanco non spereremo aiuto da nessuno, non è da dubitare che el recusare noi lo accordo con Cesare, è una delle grandi cagione che lo possino disporre a questa pace; perché sará certo che noi siamo parati a chiamare e’ franzesi in Italia e fare qualche unione pericolosa alla grandezza sua, la quale non può interrompere piú sicuramente che col fare pace col re, ogni volta che truovi mezzo da potere essere sicuro di lui almeno per qualche tempo, il che non gli doverrá mancare. E questo gli sará piú utile modo che cercare di assicurare Italia dalla grandezza sua, perché questo non può fare se non lascia libero al duca di Milano lo stato suo, e ritira tutte le gente nel reame, e depone e’ pensieri di passare personalmente in Italia; la quale sicurtá oltre che lui non ci può dare sanza sospetto di sé medesimo, perderebbe tutte le occasione e speranze di acquistare stati, che gli ha dato la cattura del re di Francia, né arebbe di questa vittoria guadagnato altro che la persona del re in prigione, la quale gli servirebbe a niente. Però è da credere che piú presto con liberare el re cercherá di guadagnare el dominio di Italia, che volere col tenerlo prigione non guadagnare niente.
El non accordare dunche noi facilita la pace co’ re, la quale è a noi perniziosissima; ed essendo tutti e’ pericoli nostri grandissimi, ma maggiori questi dua, la pace de’ re e la guerra presente, noi col non accordare diamo quasi necessitá allo imperadore di fare la pace, la quale fatta, restiano sanza dubio abandonati da ognuno, ed a sua discrezione; e col non accordare ci tiriamo ora adosso la guerra, la quale io credo che loro ci abbino a fare, perché non per questo multiplicano spese, sendo forzati a ogni modo, mentre che le pratiche di Spagna stanno sospese, tenere lo esercito medesimo che hanno: nutriranno le gente in sul paese nostro, e sgraverranno el loro, donde disegnano trarre entrate ed utilitá. Stando in guerra, mantengono la riputazione delle arme; ed e’ capitani, massime el marchese di Pescara, desidera di avere occasione di fare qualche effetto utile a Cesare. Non vanno a pericolo di perdere niente, e se venissi loro fatto di pigliare qualcuna delle nostre cittá, ci arebbono apiccato uno ferro adosso che non ce lo caveremo a nostro piacere; né stimeranno el pericolo di irritarci a fare partiti larghi a’ franzesi, perché veduto che noi recusiamo lo accordo, saranno chiari che a ogni modo, sanza essere altrimenti irritati, questo sia el disegno nostro, anzi giudicheranno che a questo male sia a proposito el farci spendere.
In somma io credo che non accordando areno la guerra di presente, e guerra di tanto travaglio e pericolo che debbiamo fare ogni cosa per fuggirla, o almanco differirla quanto si può, massime che la dilazione ci può portare infiniti benefici e la liberazione di tutto questo male, né può a iudicio mio farci male alcuno che sia di molta importanza; ed è uficio nostro ricordarci che le cose del mondo sono tanto incerte e sottoposte a tanti e sí vari accidenti, che gli uomini etiam savi non sanno fare giudicio del futuro, e rade volte succede cosa che sia conietturato da loro. Però chi al presente si priva di uno bene, o si sottomette in uno male per paura di quello che ha a venire, si inganna spesso, perché molte volte quello di che dubitava non viene, e si truova sanza proposito per timore vano ed incerto avere patito di presente. Commendo bene che, come ha detto saviamente chi ha parlato innanzi a me, si faccia ogni opera che si può per intrattenere la pratica sanza rottura, benché le cose sono tanto ristrette che in questo si può sperare poco; ma quando sia necessario o fare lo accordo di presente o pigliare la guerra, io giudico che sanza comparazione sia minore male lo accordare. El nostro Signore Dio in partiti sí difficili allumini per sua grazia la mente vostra.