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Il diritto d’autore e le licenze open nell’attività didattica

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Il diritto d’autore e le licenze open nell’attività didattica
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[p. 99 modifica]Capitolo 5

Il diritto d’autore e le licenze open nell’attività didattica

Simone Aliprandi

1. Introduzione

Il diritto d’autore è sempre stato una materia per addetti ai lavori, cioè per gli operatori professionali del mondo dell’editoria, della produzione culturale, dell’industria dell’entertainment e dello sviluppo tecnologico. Con l’avvento della cosiddetta società dell’informazione e della rivoluzione digitale, l’attività di creazione, rielaborazione e diffusione di opere creative è diventata a portata di tutti, innescando una serie di interrogativi proprio in merito ai diritti di tutela e in generale alle norme giuridiche che regolamentano l’utilizzo e la distribuzione dei contenuti. Così nel giro di pochi anni il diritto d’autore è diventato un problema di tutti (e non più solo degli “addetti ai lavori” in senso più classico), con una crescente richiesta di materiale informativo e iniziative di divulgazione sul tema. Questo articolo cerca di rispondere proprio a questa esigenza e di fornire un [p. 100 modifica] quadro chiaro e facilmente comprensibile dei principali dubbi che si incontrano quando ci si trova a riutilizzare opere creative già esistenti.

1.1. La tecnologia più avanti del diritto

Se fino a un decennio fa le opere dell’ingegno venivano diffuse attraverso specifici supporti e secondo specifiche regole, ora invece tendono a essere diffuse attraverso un unico grande medium, Internet, che ha meccanismi di funzionamento peculiari e per nulla assimilabili a quelli dei media precedenti. Principalmente è un medium che livella le differenze e tratta i vari tipi di contenuti allo stesso modo, in quanto digitalizzati e quindi semplici sequenze di bit; tutto (testi, musiche, video) viene diffuso allo stesso modo e fruito dallo stesso dispositivo: il computer o eventualmente il tablet o lo smartphone. Inoltre, la velocità con cui si sta evolvendo la tecnologia ha reso davvero facile sia produrre sia diffondere opere creative; basti pensare al meccanismo del link o del deeplink su cui si basa in gran parte il web, e alle varie applicazioni social che permettono con un semplice tasto “condividi” di mettere potenzialmente a disposizione di tutto il mondo un contenuto. Il diritto purtroppo non ha gli stessi tempi di evoluzione della tecnologia e quindi ci troviamo attualmente in una situazione “schizofrenica”, in cui miliardi di utenti hanno a disposizione tecnologie pensate ad hoc per diffondere i contenuti, mentre le norme giuridiche si mostrano ancora pesantemente impostate secondo parametri tipici del mondo predigitale. [p. 101 modifica] 1.2. Il diritto d’autore sul web: due piani separati

Una soluzione (benché forzata) a questa discrasia tra diritto e società è quella di agire non tanto sul piano della legge in senso stretto quanto su quello contrattuale. Soggetti come Facebook, Google, Twitter, si pongono spesso come più veloci e agili rispetto ai tempi dei legislatori, dunque non fanno altro che scrivere le regole dei loro servizi e farle accettare agli utenti secondo un meccanismo contrattuale. Tutte le volte che qualcuno si iscrive a questi servizi deve accettarne i termini d’uso, al di là del fatto che li abbia realmente letti e compresi.

Quelle regole sono scritte da soggetti privati e commerciali e quindi hanno solo una valenza contrattuale. Tuttavia non si può sottovalutarne la portata, se ad esempio pensiamo alle dimensioni dell’utenza di Facebook (che numericamente supera la popolazione di una nazione come la Cina).

Ciò aggiunge ovviamente complessità al problema perché l’utente che genericamente naviga su Internet in cerca di un’opera creativa da riutilizzare deve di volta in volta non solo interrogarsi su quali siano le norme giuridiche che regolamentano i diritti su quell’opera (impresa già non facile, vista la transnazionalità di un medium come Internet), ma anche verificare i termini d’uso della piattaforma in cui ha reperito l’opera.

È comunque importante tenere presente che, con buona pace delle più fantasiose leggende metropolitane che vorrebbero Internet come “far west” anche in questo campo, il diritto d’autore esiste anche sui contenuti digitali e diffusi tramite Internet e funziona con gli stessi meccanismi del “vecchio mondo” delle copie fisiche. Che poi su Internet la copia e la [p. 102 modifica] diffusione di opere risulti ben più facile e che la condivisione è una delle caratteristiche tipiche di questo nuovo medium, è tutt’altra faccenda.

2. Meccanismi di base del diritto d’autore italiano

2.1. La legge italiana sul diritto d’autore

I principi qui illustrati sono riferiti al diritto italiano, anche se sono comuni alle principali legislazioni in cui esiste la tutela delle opere creative, in virtù dei vari trattati internazionali che hanno stabilito una serie di pilastri condivisi. Il testo di riferimento per la normativa italiana è la legge 633 del 1941, che ha subito varie modifiche nei decenni successivi, tra cui le più sostanziali dagli anni Novanta ad oggi, per effetto del recepimento di alcune importanti direttive europee in materia di diritto d’autore.

2.2. Una tutela “automatica”. Il copyright come “closed by default”

Uno degli aspetti su cui circolano spesso equivoci è la modalità con cui si acquisisce il diritto d’autore. Molti pensano, erroneamente, che il diritto d’autore su una propria opera creativa si acquisisca attraverso la registrazione dell’opera presso un pubblico ufficio, come avviene per i marchi e per le invenzioni brevettabili. In realtà, l’autore acquisisce i diritti di tutela sulla propria opera con la semplice creazione dell’opera stessa, ovviamente a [p. 103 modifica] condizione che questa rientri nelle tipologie di opere contemplate dalla legge sul diritto d’autore (si vedano gli articoli 1 e 2 della legge 633/1941) e presenti il requisito essenziale del carattere creativo (cioè il fatto che l’opera sia sufficientemente nuova e originale e non la semplice riproduzione di qualcosa già creato da altri o una mera elencazione di dati).

Da questo principio deriva una regola aurea per coloro che vogliono utilizzare opere creative esistenti, che potremmo enunciare così: se l’opera non l’ho creata io, allora l’avrà creata qualcun altro e, quindi, qualcun altro deterrà i diritti d’autore su di essa. Al di là del fatto che ci sia una nota sul copyright, dunque, devo astenermi da qualsivoglia utilizzo e devo chiedere uno specifico permesso al titolare, a meno che io sia sicuro che questi diritti siano scaduti, che si tratti di un caso di “libera utilizzazione” consentito espressamente dalla legge (vedi paragrafo più avanti) o che l’opera sia rilasciata con una licenza di libero utilizzo.

Si può quindi affermare che il copyright è un sistema “closed by default”, in cui la tutela è la regola e il libero utilizzo è l’eccezione. Il seguente schema cerca di esprimere graficamente questo concetto e fungere da mappa concettuale di ciò che spiegheremo nei prossimi paragrafi.

2.3. Diritti d’autore e diritti connessi

Con l’espressione “diritto d’autore” (o “copyright”) si intende più comunemente l’insieme dei diritti che la legge italiana chiama “diritti di utilizzazione economica”: diritti indipendenti l’uno dall’altro che nascono in capo all’autore con la semplice creazione dell’opera e dei quali egli può disporre [p. 104 modifica]

Fig. 1 Mappa concettuale del diritto d’autore.


in massima libertà attraverso licenze e contratti di cessione dei diritti. Essi sono definiti dagli articoli da 12 a 19 delle legge 633/1941 e sono il diritto esclusivo di riprodurre l’opera, di trascrivere l’opera, di eseguire, rappresentare, recitare in pubblico l’opera, di comunicare al pubblico l’opera, di distribuire e mettere a disposizione del pubblico l’opera, di tradurre, rielaborare e riadattare ad altri contesti l’opera, di noleggiare e dare in prestito l’opera. L’autore è titolare anche di diritti relativi più che altro all’aspetto morale e reputazionale: i cosiddetti diritti morali d’autore (articoli 20 e seguenti della legge 633/1941), come appunto il diritto di rivendicare la paternità dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione, e a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio all’onore o alla reputazione dell’autore. Oltre ai diritti più propriamente appartenenti all’autore (cioè a colui che ha lo spunto creativo e lo estrinseca sotto forma di opera dell’ingegno), esistono altri [p. 105 modifica] diritti che tutelano attività che permettono la fruizione e la diffusione dell’opera: questi diritti, chiamati appunto diritti connessi, sono ad esempio i diritti di produzione fonografica, di produzione cinematografica, di emissione radiofonica e televisiva, di interpretazione ed esecuzione.

2.4. Il pubblico dominio

Fatta eccezione per i diritti morali, che sono inestinguibili e possono essere esercitati “in eterno” anche dagli eredi, tutti gli altri diritti hanno una scadenza prestabilita per legge: 70 anni dalla morte dell’autore per i diritti d’autore (o nel caso di opere create da più persone, di tutti gli autori); 50 o 70 anni (a seconda dei casi) dalla data della fissazione/produzione per i diritti connessi. Trascorsa quella scadenza l’opera diventa di pubblico dominio, cioè patrimonio dell’umanità, e quindi di libero utilizzo senza necessità di chiedere autorizzazione al titolare dei diritti.

In alcuni casi, per effetto di una precisa disposizione di legge, le opere dell’ingegno sono fin dall’origine prive di tutela; possiamo parlare di “public domain by law”. Ad esempio, in Italia ciò avviene per gli atti ufficiali dello Stato e delle pubbliche amministrazioni (articolo 5 legge 633/1941) e negli Stati Uniti per tutti i contenuti prodotti da dipendenti del governo federale nello svolgimento delle loro mansioni1. [p. 106 modifica] 3. Come e quando è possibile utilizzare opere coperte da diritti

3.1. “Fair use” e libere utilizzazioni

Alcuni ordinamenti giuridici contemplano il principio secondo cui il diritto d’autore debba farsi da parte quando le opere tutelate vengano utilizzate in contesti che non possono creare un concreto danno agli interessi commerciali dei titolari dei diritti; o più in generale in quei casi in cui l’interesse pubblico alla diffusione dell’informazione e della conoscenza debba prevalere sull’interesse privato alla tutela esclusiva di un’opera. In alcuni ordinamenti si parla di “fair use”, in altri di “fair dealing”, in altri ancora di “libere utilizzazioni” o “eccezioni al diritto d’autore” (come nel caso italiano).

Le principali eccezioni al diritto d’autore previste dalla legge italiana sono disciplinate dagli articoli dal 65 al 71-quinquies e rappresentano un elenco tendenzialmente chiuso; ciò implica che non è possibile farne interpretazioni molto estensive e vanno sempre comunque considerate come fattispecie eccezionali. In questa sede, invitiamo a dedicare particolare attenzione all’articolo 68 e all’articolo 70.

Il primo definisce libera “la riproduzione di singole opere o brani di opere per uso personale dei lettori, fatta a mano o con mezzi di riproduzione non idonei a spaccio o diffusione dell’opera nel pubblico”; e definisce libera anche “la fotocopia di opere esistenti nelle biblioteche accessibili al pubblico o in quelle scolastiche, nei musei pubblici o negli archivi pubblici, effettuata dai predetti organismi per i propri [p. 107 modifica] servizi, senza alcun vantaggio economico o commerciale diretto o indiretto”; e infine si occupa della fotocopia fatta invece dai singoli utilizzatori, la quale deve rimanere nei limiti del 15% del volume o fascicolo.

Tuttavia, la norma più centrale per le libere utilizzazioni in campo didattico e scientifico è l’articolo 70, al quale nel 2008 è stato aggiunto un nuovo comma 1bis appositamente pensato per le nuove frontiere della comunicazione digitale e telematica. Visto l’importanza della norma, è il caso di riportarla integralmente e di farne un breve commento.

A. Riproduzione di brani ai fini di insegnamento

1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

Questo primo comma copre già buona parte dei più comuni usi effettuati in ambito didattico e accademico. La norma si occupa di tutti quei casi in cui, per discutere, commentare, spiegare, criticare un’opera tutelata da diritto d’autore sia necessario riproporla sotto forma di riassunto, di parafrasi o di estratto (restano quindi esclusi utilizzi dell’opera nella sua interezza). Tali attività sono consentite anche senza l’autorizzazione del titolare dei diritti, a condizione che si tratti effettivamente di quegli usi, dunque senza che vi sia una semplice e pedissequa riproposizione dell’opera e senza che l’uso possa entrare in diretta concorrenza con lo [p. 108 modifica] sfruttamento economico dell’opera che viene fatto dal titolare dei diritti. Viene poi individuata una variante specifica di questa fattispecie nel cosiddetto uso didattico o di ricerca. In questo caso la norma precisa che riassunto, citazione o riproduzione devono avere finalità illustrative e comunque non commerciali, lasciando però alla giurisprudenza il compito di tracciare con maggiore precisione i confini di questi concetti (effettivamente passibili di diverse interpretazioni).

B. Riproduzione attraverso internet

E' consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.

Questo comma 1-bis è il frutto di una novella legislativa risalente al febbraio 2008 e palesemente dettata dalle nuove istanze poste dal cosiddetto web 2.0, in cui la condivisione di contenuti in rete è diventata un ingrediente essenziale. La norma ha un’enunciazione un po’ infelice per l’indeterminatezza di concetti come “bassa risoluzione” e “degradato” ma la sua ratio sembra abbastanza chiara. Tra l’altro, ha le sue radici storiche in uno spiacevole episodio che ha visto nel 2007 un insegnante di scuola media vittima di una richiesta da parte della SIAE di circa 4700 euro proprio a titolo di diritti di utilizzo per immagini pubblicate a scopo divulgativo su Internet. Il professore in [p. 109 modifica] questione, un insegnante di Cesena, aveva infatti creato un sito in cui metteva a disposizione a titolo gratuito materiale utile per arricchire e completare lezioni ed esercitazioni (tra cui anche più di 70 di immagini digitali di quadri di autori non ancora in pubblico dominio, come Picasso, Marinetti, Klee). La vicenda aveva creato abbastanza scalpore e ciò ha portato il legislatore a intervenire sul testo dell’art. 70. Si noti poi che il decreto ministeriale cui si rimanda risulta non ancora emanato alla data di stampa del presente saggio (giugno 2017, quindi a  10 anni dall’entrata in vigore di questo comma).

C. Riproduzione in testi scolastici

2. Nelle antologie ad uso scolastico la riproduzione non può superare la misura determinata dal regolamento, il quale fissa la modalità per la determinazione dell’equo compenso.

Questo comma 2 fa invece riferimento a una norma di secondo livello: l’art. 22 del Regolamento di esecuzione (Regio Decreto n. 1369 del 1942), il quale al primo comma precisa: “la misura della riproduzione di brani di opere letterarie o scientifiche in antologie ad uso scolastico, a’ sensi del secondo comma dell’art. 70 della legge, non può superare, per ciascuna antologia e nei confronti dell’opera dalla quale i brani sono riprodotti, se si tratta di prosa, dodicimila lettere, se si tratta di poesia, centottanta versi, con un ulteriore margine di altri trenta versi ove ciò si renda necessario per assicurare al brano riprodotto un senso compiuto. La misura della riproduzione in antologie, qualora si tratti di opera musicale, non può superare venti battute. Trattandosi di antologie [p. 110 modifica] cinematografiche costituite da parti di opere cinematografiche diverse, la misura della riproduzione non può superare cinquanta metri di pellicola”.

3. Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore, dell’editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta.

Infine, il comma 3 ribadisce in forma di norma giuridica alcuni accorgimenti che comunque dovrebbero già far parte della buona prassi accademica, cioè quelli di indicare correttamente la fonte di cui è stato effettuato un riassunto, una citazione o una riproduzione.

4. Le licenze open (Creative Commons e simili)

Oltre ai casi di libera utilizzazione previsti dalla legge sul diritto d’autore (e già dettagliati nei paragrafi precedenti), può succedere che sia lo stesso titolare dei diritti a preferire che la sua opera circoli libera da alcuni dei principali vincoli del copyright. In tal caso egli può ricorrere all’applicazione di apposite licenze d’uso ispirate al modello che comunemente viene chiamato open content o copyleft, di cui le licenze Creative Commons rappresentano l’estrinsecazione più nota. Cerchiamo quindi di comprenderne i principi di fondo e il funzionamento concreto.

4.1. Radici storiche del fenomeno

L’idea di utilizzare lo strumento della licenza d’uso per “liberare” un’opera creativa dalle maglie del [p. 111 modifica]copyright nasce negli anni ottanta in ambito informatico e più precisamente in seno al Progetto GNU, inaugurato da Richard Stallman (ricercatore presso il MIT di Boston). In quegli anni il governo americano aveva approvato la legge che sottoponeva anche il software alla tutela del copyright, aprendo la strada all’industria del software proprietario e a codice sorgente chiuso. Il gruppo di hacker guidato da Stallman voleva invece trovare il modo di contrastare questa deriva, facendo sì che comunque vi fosse del software liberamente distribuibile, modificabile e corredato del codice sorgente (da cui “open source”). Da lì l’idea di redigere il testo della GNU General Public License (anche nota con l’acronimo GPL), capostipite delle licenze open, nonché tutt’oggi la licenza di software libero più utilizzata.

Negli anni novanta, con l’avvento di Internet e di tutto il fenomeno di creatività digitale e indipendente a esso connesso, si avvertì l’esigenza di sperimentare lo stesso modello anche al di là della creatività strettamente informatica. Iniziarono, quindi, a comparire le prime bozze di licenze per opere musicali, testuali, grafiche e fotografiche; lo stesso Progetto GNU predispose la Free Documentation License (FDL) pensata per rilasciare liberamente la documentazione informatica e successivamente utilizzata come prima licenza dell’enciclopedia libera Wikipedia.

Fu però solo con il nuovo millennio e con l’esplosione di Internet come fenomeno di massa che qualcuno pensò di predisporre un set di licenze che potessero funzionare per tutti i tipi di opere creative (a esclusione del software) e che risultassero particolarmente intuitive e di facile utilizzo anche per i non esperti. Nacque così nel 2002 la prima versione delle [p. 112 modifica] licenze Creative Commons, oggi arrivate alla quarta versione e diventate in assoluto le licenze open content più utilizzate dal popolo dei creativi digitali.

Nonostante le licenze per contenuti liberi siano numerose, le licenze Creative Commons si stanno imponendo come il modello più conosciuto e diffuso, tant’è che molti progetti dediti alla promozione della cultura aperta sfruttano proprio queste licenze. È anche per questo motivo che in questi prossimi paragrafi ci focalizzeremo su queste licenze; ma si tenga presente che i principi generali e meccanismi di base valgono sostanzialmente per tutte le licenze ispirate al modello open.


4.2. Il concetto di licenza e i meccanismi del licensing


Per comprendere appieno il funzionamento delle licenze Creative Commons bisogna fare qualche considerazione generale sul concetto di licenza d’uso per opere creative e poi più specificamente su quello di licenza open content.

Genericamente, in ambito giuridico, con il termine licenza si indica un atto autorizzativo, la concessione di un permesso; ricordiamo infatti l’etimologia latina di licenza, da licēre che appunto significa “permettere”, “autorizzare”.

Nel diritto della proprietà intellettuale, una licenza è quindi l’atto con cui il titolare dei diritti esclusivi su un’opera (licenziante) concede il permesso di utilizzare l’opera stessa a un altro soggetto (licenziatario), stabilendo contestualmente una serie di limiti e condizioni. Il mancato rispetto di questi termini d’uso comporta la violazione del rapporto giuridico e quindi l’automatico venir meno dell’autorizzazione [p. 113 modifica] stessa. Nel modello open licensing, solo il licenziante è un soggetto definito, mentre il licenziatario è indefinito: cerchiamo ora di capire meglio in che senso. Il licenziante è normalmente colui che detiene i diritti sull’opera e solitamente è l’autore stesso oppure altro titolare dei diritti (come la casa editrice, l’etichetta discografica…). Egli, quando diffonde la sua opera, vi allega il testo della licenza d’uso e segnala in modo chiaro che chiunque volesse utilizzare l’opera dovrà semplicemente attenersi a quanto indicato nella licenza (oltre ovviamente a rispettare quanto più generalmente previsto dai principi del diritto d’autore).

Questo “chiunque”, facendosi implicitamente parte del rapporto contrattuale proprio per effetto dell’utilizzo dell’opera, diventa così il licenziatario; si spiega ora perché poco sopra abbiamo parlato di un licenziatario indefinito. In estrema sintesi possiamo quindi dire che la licenza rappresenta un permesso condizionato (e concesso a priori) per l’utilizzo dell’opera.

4.3. Le sei (+ una) licenze Creative Commons

Come anticipato, le licenze Creative Commons sono licenze pensate per poter funzionare con tutti i tipi di opere creative e in modo da poter essere tradotte e adattate ai vari ordinamenti giuridici; inoltre la loro struttura si articola in clausole modulari che permettono all’autore di decidere quali usi consentire per la sua opera, a quali condizioni e in quali contesti: in poche parole, consentono all’autore di graduare la libertà di utilizzo dell’opera, chiarendone le condizioni.

Attualmente le licenze Creative Commons sono sei e prendono il nome dalle clausole in esse contenute. [p. 114 modifica] In un ordine dalla più permissiva alla più restrittiva esse sono:

  • Attribuzione;
  • Attribuzione – Condividi allo stesso modo;
  • Attribuzione – Non opere derivate;
  • Attribuzione – Non commerciale;
  • Attribuzione – Non commerciale – Condividi allo stesso modo;
  • Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate.


Fig. 2 | Le sei licenze Creative Commons disposte dalla più libera alla più restrittiva.

Le licenze Creative Commons (come per altro gran parte delle licenze sul modello open) si strutturano idealmente in due parti: una prima parte in cui si indicano quali sono le libertà che l’autore vuole concedere sulla sua opera; e una seconda parte che chiarisce le condizioni che l’autore impone per utilizzare l’opera. [p. 115 modifica] Riguardo alla prima parte (libertà), tutte le licenze consentono la copia e distribuzione dell’opera, precisando:

Tu sei libero di condividere — riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare questo materiale con qualsiasi mezzo e formato.

Solo alcune invece consentono anche di fare modifiche e rielaborazioni dell’opera (cioè di realizzare “opere derivate”), precisando:

Tu sei libero di  modificare — remixare, trasformare il materiale e basarti su di esso per le tue opere per qualsiasi fine.

Riguardo alla seconda parte (le condizioni imposte), bisogna notare che le licenze Creative Commons si articolano in quattro clausole base, che l’autore può scegliere e combinare a seconda delle sue esigenze. Vediamole nel dettaglio.

Attribuzione. Devi riconoscere una menzione di paternità adeguata, fornire un link alla licenza e indicare se sono state effettuate delle modifiche. Puoi fare ciò in qualsiasi maniera ragionevole possibile, ma non con modalità tali da suggerire che il licenziante avalli te o il tuo utilizzo del materiale.

Questa clausola è presente di default in tutte le licenze. Essa indica che, ogni volta che utilizziamo l’opera, dobbiamo segnalare in modo chiaro chi è l’autore così da evitarne usi distorti. [p. 116 modifica] Non Commerciale. Non puoi utilizzare il materiale per scopi commerciali.

Significa che, se distribuiamo copie dell’opera, non possiamo farlo in una maniera tale che sia prevalentemente intesa o diretta al perseguimento di un vantaggio commerciale o di un compenso monetario privato. Per farne tali usi, è necessario chiedere uno specifico permesso all’autore.

Non Opere DerivateSe remixi, trasformi il materiale o ti basi su di esso, non puoi distribuire il materiale così modificato.

Quindi se vogliamo diffondere modifiche o rielaborazioni dell’opera, dobbiamo chiedere uno specifico permesso all’autore originario.

Stessa Licenza (Share Alike). Se remixi, trasformi il materiale o ti basi su di esso, devi distribuire i tuoi contributi con la stessa licenza del materiale originario.

Questa clausola (un po’ come succede nell’ambito del software libero) garantisce che le libertà concesse dall’autore sull’opera originaria si mantengano anche sulle opere derivate da essa (e su quelle derivate dalle derivate, con un effetto a cascata).

Altra peculiarità di queste licenze è quella di essere espresse in tre diverse forme. La licenza vera e propria è detta Legal Code: è un testo abbastanza lungo, denso di concetti giuridici e tendenzialmente comprensibile da coloro che hanno una formazione di tipo giuridico. È questa la licenza che verrà esaminata dal giudice qualora emergesse una controversia legale sull’uso dell’opera licenziata. Tuttavia, Creative Commons ha pensato anche di riassumere i [p. 117 modifica] concetti essenziali delle licenze in versioni sintetiche (i cosiddetti Commons Deed) facili da capire anche per i semplici utenti e contraddistinte da efficaci icone che richiamano graficamente il senso delle clausole presenti. Inoltre, ogni licenza è contraddistinta da alcune righe di linguaggio informatico (il cosiddetto Digital Code) che fungono da metadati, ovvero da informazioni digitali da incorporare nei file delle opere, grazie alle quali i motori di ricerca sono in grado di individuare e riconoscere correttamente le opere che li contengono.

Oltre alle succitate sei licenze, Creative Commons mette a disposizione un apposito tool utilizzabile per rilasciare opere creative in un regime di pubblico dominio artificiale. Sappiamo infatti che normalmente un’opera dell’ingegno diventa di pubblico dominio quando sono scaduti i 70 anni dalla morte dell’autore o quando la legge prevede che il diritto d’autore non sia applicabile. Con lo strumento chiamato CC0 (CC Zero) l’autore di un’opera può decidere di rilasciarla fin da subito in una condizione di pubblico dominio; ciò avviene allegando all’opera il testo o il link (al pari di quanto avviene per le licenze) di un atto di rinuncia (waiver) con cui il detentore dei diritti d’autore si impegna pubblicamente e irrevocabilmente a non esercitarli.

Fig. 3 Il banner che identifica un’opera rilasciata con CC Zero. [p. 118 modifica] 4.4. Come applicare una licenza Creative Commons alla propria opera

Abbiamo già spiegato che il principio di fondo è semplicemente quello di “allegare” la licenza all’opera, in modo che l’utilizzatore possa essere messo in condizione di conoscere le libertà concesse dal licenziante nonché le relative condizioni d’uso.

La prassi più diffusa e consigliabile è quella di aggiungere un chiaro disclaimer con il nome esteso della licenza e l’indirizzo web in cui è disponibile il testo integrale della licenza. Nel caso di opere in formato digitale e diffuse tramite internet il tutto risulta particolarmente facile, dato che è sufficiente aggiungere una nota nella pagina web in cui “risiede” il file dell’opera creativa. Teniamo presente che Creative Commons non prende in deposito le opere e non  tiene traccia degli utilizzi delle licenze; la corretta applicazione delle sue licenze è quindi mera responsabilità dei licenzianti.

Il sito ufficiale di Creative Commons (all’indirizzo https://creativecommons.org/choose/) offre un’utile procedura guidata  che, attraverso una serie di domande, accompagna l’utente nella scelta della licenza più opportuna e genera automaticamente il codice html con il disclaimer e il link alla licenza. Non solo: il codice fornito da Creative Commons ha anche la funzione di metatag, cioè inserisce nel codice sorgente della pagina web delle informazioni aggiuntive sul tipo di licenza scelta ma anche sull’autore e sul tipo di opera; queste informazioni, rispettando gli standard del cosiddetto “web semantico”, permettono ai motori di ricerca di reperire più facilmente ed efficacemente le opere. [p. 119 modifica] Fin qui abbiamo parlato dell’applicazione delle licenze CC a opere diffuse attraverso Internet in formato digitale, essendo questo  l’habitat originario di licenze come le Creative Commons.  Tuttavia, se invece l’opera viene distribuita su supporto fisico, il disclaimer può essere apposto dove normalmente si trovano i dati di edizione e produzione dell’opera; per esempio nel colophon di un libro, nel booklet di un CD musicale, nella cover di un DVD video.

4.5. Come trovare opere sotto licenza Creative Commons

Ora che abbiamo spiegato il sistema di metatag utilizzato da Creative Commons, è più facile comprendere che non esiste un vero e proprio database di opere sotto licenza CC e che al contrario esse si trovano sparse nell’oceano di Internet. Semplicemente, se il licenziante ha proceduto correttamente, un qualsiasi motore di ricerca impostato per essere sensibile ai metatag  (e i principali hanno questa caratteristica) potrà trovare l’opera che stiamo cercando secondo le caratteristiche (anche di licenza) che desideriamo. Per esempio, lo stesso Google in modalità “Ricerca Avanzata” offre un’opzione di ricerca basata sui diritti di utilizzo. In alternativa è possibile utilizzare un motore predisposto specificamente da Creative Commons (https://ccsearch.creativecommons.org/) oppure quello realizzato da Creative Commons Corea (http://eng.letscc.net/). Ci sono poi siti web che offrono servizi di hosting, pubblicazione e catalogazione di opere sotto licenze CC, quindi un’ulteriore alternativa è quella di cercare all’interno dei loro database. Gli esempi più noti sono Jamendo per le opere musicali, Flickr per le opere [p. 120 modifica] fotografiche, Wikimedia Commons più genericamente per immagini, filmati e testi, Vimeo per video, SlideShare per le presentazioni; anche lo stesso YouTube consente l’utilizzo di una sola delle sei licenze CC.


Fig. 4 Il motore di ricerca realizzato da Creative Commons (https://ccsearch.creativecommons.org/).


5. Workflow per l’utilizzatore di opere creative

Sulla base dei principi sinteticamente illustrati fin qui, è possibile costruire un workflow basato su quesiti e risposte che guidano verso un comportamento ottimale da parte di chi voglia riutilizzare un’opera dell’ingegno creata da terzi. Una volta individuata l’opera da utilizzare, innanzitutto chiediti… [p. 121 modifica]

Step 1) Si tratta di un’opera per cui la legge dispone a priori che non vi sia un diritto d’autore (“public domain by law”)?

- Sì → usala senza problemi
- No → allora chiediti…

Step 2) Sono per caso scaduti tutti i diritti d’autore e connessi sull’opera?

- Sì → usala senza problemi
- No → allora chiediti…

Step 3) Il tipo di utilizzazione che voglio fare ricade in uno dei casi di “fair use” o di “libera utilizzazione” previsti dalla legge (eccezioni al diritto d’autore)?

- Sì → usala ma nei limiti imposti dalla legge per il singolo caso
- No → allora chiediti…

Step 4) L’opera proviene da una piattaforma che definisce particolari condizioni d’uso per i contenuti creativi?

- Sì → verifica i termini d’uso e usala nei limiti indicati
- No → allora chiediti…

Step 5) L’opera è rilasciata sotto una licenza pubblica che ne consente alcune utilizzazioni (tipo Creative Commons)?

- Sì → usala ma nei limiti descritti dalla licenza applicata
- No → contatta il titolare dei diritti e chiedi il permesso (scritto) di utilizzarla [p. 122 modifica]

Per approfondire

Questo saggio rappresenta ovviamente un excursus molto sintetico su una materia in realtà complessa e ampia. Per maggiori approfondimenti si rimanda alla lettura dei libri Capire il copyright. Percorso guidato nel diritto d’autore (edito da Ledizioni nel 2012 e disponibile online al sito  https://aliprandi.org/books/ capire-copyright/) e Creative Commons: manuale operativo (edito da Ledizioni nel 2013 e disponibile al sito  https://aliprandi.org/books/manuale-cc/), nonché alla fruizione del videocorso sul diritto d’autore realizzato nel 2016 per il sito Musica361 (disponibile al sito  www.musica361.it/videocorso-sul-diritto-autore/). Si rimanda anche al profilo SlideShare www. slideshare.net/simonealiprandi in cui si possono trovare più di cento presentazioni a slides, mappe concettuali, articoli e altri documenti utili.

  1. Per un approfondimento sul tema del pubblico dominio si rimanda alla video lezione “Quando il copyright finisce: il pubblico dominio” liberamente disponibile al sito www.musica361.it/ quando-il-copyright-finisce/.