7. Musetta e la Madre

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Luciano di Samosata - LVI. Dialoghi delle cortigiane (II secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
7. Musetta e la Madre
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7.

Musetta e la Madre.


La Madre. Se troviamo, o Musetta, un altro amante come Cherea, ci converrà sacrificare una bianca agnella a Pallade Protettrice, una giovenca alla Venere degli Orti, coronare la buona Fortuna, e saremo davvero beatissime e felicissime. Che gioia di giovane! quanto n’abbiamo avuto! Non ti ha dato mai un obolo, nè una veste, nè un paio di scarpette, nè un bossolino d’unguento, ma sempre parole, promesse e speranze lunghe. Se mio padre..... se divento io padrone, tutto è tuo. Tu dici ancora che ha giurato di sposarti. [p. 182 modifica]

Musetta. L’ha giurato, o mamma, per le due Dee, e per Minerva.1

La Madre. E tu gli credi già? E per questo poco fa non avendo egli come pagar lo scotto, tu gli desti l’anello senza saputa mia: ed ei lo vendette, e si divertì: un’altra volta due collane gioniche, che ciascuna pesava due darici,2 e te le portò padron Prassia di Chio, che te le fece fare a posta in Efeso. Eh! Cherea doveva pagar la sua parte, e non scomparire fra i compagni. Di tante lenzuola e camice che parlo a fare? Una gran fortuna c’è venuta addosso, che non ce l’attendevamo.

Musetta. Ma è un bel giovane, e senza barba, e dice che mi vuol bene, e piange, e poi è figliuolo di Dinomaca e di Lachete l’Areopagita, e dice che mi sposerà, ed abbiamo grandi speranze da lui se il vecchio chiude gli occhi.

La Madre. Dunque, o Musetta, se avrem bisogno di calzari, e il calzolaio ci chiederà le due dramme, noi gli risponderemo: Danari non ne abbiamo, ti diamo speranze, prendile. Al panattiere diremo anche così: e se ci si richiede la pigione, diremo: Aspetta finchè muoia Lachete di Colitta: ti pagherem dopo le nozze. Non ti vergogni che tu sola fra le cortigiane non hai nè un paio di orecchini, nè una collana, nè una robetta tarantina?3

Musetta. E per questo, o mamma, le altre sono più fortunate e più belle di me?

La Madre. No: ma più giudiziose, e sanno fare le cortigiane: non credono a parolette ed ai giovani che han sempre i giuramenti su le labbra: tu se’ credula, e gli ami troppo gli uomini, e non vuoi starti con nessun altro se non col solo Cherea. Poco fa quando venne quel campagnuolo d’Acarnania, che portava due mine, e neppur egli aveva barba (l’aveva mandato il padre per esigere il prezzo del vino), tu lo canzonasti quel povero giovane, e ti giacesti con quell’Adone del tuo Cherea. [p. 183 modifica]

Musetta. Eh? doveva lasciar Cherea, e ricevere quel villano che puzzava di caprone? Vuoi mettere il pesce col porco, Cherea mio con quell’Acarnese?

La Madre. E sia pure che colui puzzava del salvatico: ma e Antifonte di Menecrate che prometteva una mina, perchè non lo ricevesti? Non è egli bello, e gentile, e dell’età di Cherea?

Musetta. Ma Cherea mi minacciò che ci avria scannati tuttadue, se m’avesse colta con lui.

La Madre. Oh, quanti altri le fanno queste minacce! Perciò dunque rimarrai senza amatori, e ti terrai casta, non come cortigiana, ma come una sacerdotessa di Cerere? Ma via, a proposito: oggi è la festa di Cerere: che t’ha dato egli?

Musetta. Non ha niente, o mamma.

La Madre. Solo costui non ha trovato l’arte di cavar danari dal padre, d’indettare un servo per ingannarlo, di chiederli alla mamma minacciando di andare a farsi soldato se non gliene dà: ma si sta a smungere noi poverette, e non ci dà egli, nè ci fa dare da altri. E credi, o Musetta, che tu sarai sempre di diciotto anni; e che Cherea penserà anche così quando sarà ricco, e la madre gli avrà trovato un partito di molti talenti? Credi che si ricorderà più delle lagrime, de’ baci, de’ giuramenti, vedendo un cinque talenti di dote? Musetta. Se ne ricorderà, sì: e n’è prova che testè non s’è ammogliato, mentre lo costringevano, lo sforzavano, ed egli no.

La Madre. Vorrei ch’ei non t’avesse detto una bugia. Ma io te lo ricorderò allora, o Musetta.

Note

  1. Le due Dee. Cerere e Proserpina.
  2. Il darico, moneta persiana, così detta da Dario, valeva venti dramme.
  3. Le lane di Taranto erano pregiate per la finezza e pel colore di porpora onde erano tinte con una specie di conchiglie di che abbonda quel mare.