Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
182 | dialoghi delle cortigiane. |
Musetta. L’ha giurato, o mamma, per le due Dee, e per Minerva.1
La Madre. E tu gli credi già? E per questo poco fa non avendo egli come pagar lo scotto, tu gli desti l’anello senza saputa mia: ed ei lo vendette, e si divertì: un’altra volta due collane gioniche, che ciascuna pesava due darici,2 e te le portò padron Prassia di Chio, che te le fece fare a posta in Efeso. Eh! Cherea doveva pagar la sua parte, e non scomparire fra i compagni. Di tante lenzuola e camice che parlo a fare? Una gran fortuna c’è venuta addosso, che non ce l’attendevamo.
Musetta. Ma è un bel giovane, e senza barba, e dice che mi vuol bene, e piange, e poi è figliuolo di Dinomaca e di Lachete l’Areopagita, e dice che mi sposerà, ed abbiamo grandi speranze da lui se il vecchio chiude gli occhi.
La Madre. Dunque, o Musetta, se avrem bisogno di calzari, e il calzolaio ci chiederà le due dramme, noi gli risponderemo: Danari non ne abbiamo, ti diamo speranze, prendile. Al panattiere diremo anche così: e se ci si richiede la pigione, diremo: Aspetta finchè muoia Lachete di Colitta: ti pagherem dopo le nozze. Non ti vergogni che tu sola fra le cortigiane non hai nè un paio di orecchini, nè una collana, nè una robetta tarantina?3
Musetta. E per questo, o mamma, le altre sono più fortunate e più belle di me?
La Madre. No: ma più giudiziose, e sanno fare le cortigiane: non credono a parolette ed ai giovani che han sempre i giuramenti su le labbra: tu se’ credula, e gli ami troppo gli uomini, e non vuoi starti con nessun altro se non col solo Cherea. Poco fa quando venne quel campagnuolo d’Acarnania, che portava due mine, e neppur egli aveva barba (l’aveva mandato il padre per esigere il prezzo del vino), tu lo canzonasti quel povero giovane, e ti giacesti con quell’Adone del tuo Cherea.