Dialoghi delle cortigiane/11
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Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
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11.
Trifena e Carmide.
Trifena. Chi mai si prende una cortigiana, le dà cinque dramme, e si corica volgendole le spalle, piangendo e sospirando? Non hai bevuto, non hai voluto toccar briciola di cibo, t’ho veduto versar lagrime durante tutta la cena: ed ora non cessi di guaiolare come un fanciullo. E perchè fai questo, o Carmide? Va, dimmelo: chè almeno passerò così la nottata, vegliando con te.
Carmide. L’amore mi uccide, o Trifena; e non posso più sopportarne le smanie.
Trifena. Che non ami me, si vede; perchè avendomi in poter tuo non mi curi, e mi scacci che ti voglio abbracciare, anzi hai fatto qui in mezzo a noi come un muro con la coltre, temendo ch’io non ti tocchi. Ma chi è ella, dimmela. Forse i’ ti potrei aiutare in cotesto amore, chè so come si hanno a menare simili faccende.
Carmide. Tu la sai certamente, ed ella te: ella è cortigiana conosciuta.
Trifena. Dimmene il nome, o Carmide.
Carmide. La Baciozza, o Trifena.
Trifena. Quale dici? chè sono due; quella del Pireo, testè sverginata, e di cui è innamorato Difillo il figliuolo del generale di quest’anno, e quell’altra che chiaman la Trappola.
Carmide. Questa: ed io misero a me, son morto, son perduto di lei.
Trifena. E per lei piangevi?
Carmide. Sì.
Trifena. È molto che l’ami, o se’ novello ancora?
Carmide. Novello no: son otto mesi che nelle Dionisiache la vidi la prima volta.
Trifena. Ma la vedesti ben tutta quanta la Baciozza? o le vedesti la sola faccia e le altre parti apparenti del corpo? Tu certamente non sei andato più in là con una donna che ha sopra i quarantacinque anni.
Carmide. Eppure ella giura che ne compirà ventidue a Febbraio che viene.
Trifena. E tu a chi più crederai, ai giuramenti suoi, o agli occhi tuoi? Rimirala bene, guardala un po’ alle tempie dove solamente ha capelli suoi, e il resto è una gran parrucca. Intorno alle tempie, quando svanisce il colore col quale ella si tinge, i capelli compariscon bianchi di sotto. Ma che ti sto a dire? Falle un po’ di forza per vederla nuda una volta.
Carmide. Non mai ha voluto compiacermi di tanto.
Trifena. Con ragione: sapeva che avresti schifate le sue impetigini: dal collo alle ginocchia n’è tutta chiazzata come una pantera. E tu piangevi che non ti giaci con lei? Oh di’, te lo vendeva caro ella, e ti faceva la contegnosa?
Carmide. Sì, o Trifena: e quanto s’ha preso da me! Ora m’aveva cercato un migliaio,1 ed io non avendo come darglielo, perchè mio padre è un uomo assegnato, ella s’ha preso Moschione, e mi ha scacciato: onde io per farle dispetto m’ho preso te.
Trifena. Oh, per Venere, i’ non ci sarei venuta se m’avesser detto che io era presa per questo, per fare un dispetto a un’altra, e poi alla Baciozza, a quella vecchiaccia. Ma ora me ne vado, chè già il gallo ha cantato la terza volta.
Carmide. Non andar sì di fretta, o Trifena. Se è vero ciò che dici della Baciozza, e della parrucca, e che si tinge, e che ha le impetigini, i’ non potrei più guardarla in faccia.
Trifena. Dimandane tua madre, se mai s’è lavata con lei: degli anni poi, te ne parlerà anche tuo nonno, se è vivo ancora.
Carmide. Dunque giacchè ella è così fatta, leviam questo muro di mezzo a noi, abbracciamoci, baciamoci, facciamo davvero; e la Baciozza vada alla malora.
Note
- ↑ Un migliaio di dramme.