Dialoghi con Leucò/Le cavalle
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Le cavalle
Di Ermete, dio ambiguo tra la vita e la morte, tra il sesso e lo spirito, fra i Titani e gli dèi dell’Olimpo, non è il caso di parlare. Ma che cosa significhi che il buon medico Asclepio esca da un mondo di divine metamorfosi bestiali, vale invece la pena di dirlo.
(Parlano Ermete ctonio e il centauro Chirone).
ermete II Dio ti chiede di allevare questo figlio, Chirone. Già sai della morte della bella Corònide. L’ha strappato il Dio dalle fiamme e dal grembo di lei con le mani immortali. Io fui chiamato presso il triste corpo umano che già ardeva — i capelli avvampavano come paglia di grano. Ma l’ombra nemmeno mi attese. Con un salto, dal rogo scomparve nell’Ade.
chirone Tornò puledra nel trapasso?
ermete Cosí credo. Ma le fiamme e le vostre criniere si somigliano troppo. Non feci in tempo a sincerarmene. Dovetti afferrare il bambino per portarlo quassú.
chirone Bimbetto, era meglio se restavi nel fuoco. Tu non hai nulla di tua madre se non la triste forma umana. Tu sei figliolo di una luce abbacinante ma crudele, e dovrai vivere in un mondo di ombra esangue e angosciosa, di carne corrotta, di sospiri e di febbri — tutto ti viene dal Radioso. La stessa luce che ti ha fatto frugherà il mondo, implacabile, e dappertutto ti mostrerà la tristezza, la piaga, la viltà delle cose. Su di te veglieranno i serpenti.
ermete Certo il mondo di ieri è scaduto se anche i serpenti son passati alla Luce. Ma, dimmi, tu sai perché è morta?
chirone Enodio, mai piú la vedremo balzare felice dal Dídimo al Pelio fra i canneti e le rupi. Tanto ci basti. Le parole sono sangue.
ermete Chirone, puoi credermi quando ti dico che la piango come voi la piangete. Ma, ti giuro, non so perché il Dio l’abbia uccisa. Nella mia Làrissa si parla d’incontri bestiali nelle grotte e nei boschi...
chirone Che vuol dire? Lo siamo bestiali. E proprio tu, Enodio, che a Làrissa eri coglia di toro, e all’inizio dei tempi ti sei congiunto nel fango della palude con tutto quanto di sanguigno e ancora informe c’era al mondo, proprio tu ti stupisci?
ermete È lontano quel tempo, Chirone, e adesso vivo sottoterra o sui crocicchi. Vi vedo a volte venir giú dalla montagna come macigni e saltare le pozze e le forre, e inseguirvi, chiamarvi, giocare. Capisco gli zoccoli, la vostra natura, ma non sempre voi siete cosí. Le tue braccia e il tuo petto di uomo, a dirne una, e il vostro grosso riso umano, e lei l’uccisa, e gli amori col Dio, le compagne che adesso la piangono — siete cose diverse. Anche tua madre, se non sbaglio, piacque a un dio.
chirone Altri tempi davvero. Il vecchio dio per amarla si fece stallone. Sulla vetta del monte.
ermete Dunque, dimmi perché Corònide bella fu invece una donna e passeggiava nei vigneti e tanto giocò col Radioso che lui la uccise e bruciò il corpo?
chirone Enodio, dalla tua Làrissa quante volte hai veduto dopo una notte di vento la montagna dell’Olimpo stagliare nel cielo?
ermete Non solo la vedo, ma a volte ci salgo.
chirone Un tempo, anche noi si galoppava fin lassú di costa in costa.
ermete Ebbene, dovreste tornarci.
chirone Amico, Corònide c’è tornata.
ermete Che vuoi dire con questo?
chirone Voglio dire che quella è la morte. Là ci sono i padroni. Non piú padroni come Crono il vecchio, o l’antico suo padre, o noi stessi nei giorni che ci accadeva di pensarci e la nostra allegria non sapeva piú confini e balzavamo tra le cose come cose ch’eravamo. A quel tempo la bestia e il pantano eran terra d’incontro di uomini e dèi. La montagna il cavallo la pianta la nube il torrente — tutto eravamo sotto il sole. Chi poteva morire a quel tempo? Che cos’era bestiale se la bestia era in noi come il dio?
ermete Tu hai figliole, Chirone, e sono donne e son puledre a volontà. Perché ti lamenti? Qui avete il monte, avete il piano, e le stagioni. Non vi mancano neppure, per compiacervi, le dimore umane, capanne e villaggi, agli sbocchi delle vallate, e le stalle, i focolari, dove i tristi mortali favoleggiano di voi, pronti sempre a ospitarvi. Non ti pare che il mondo sia meglio tenuto dai nuovi padroni?
chirone Tu sei dei loro e li difendi. Tu che un giorno eri coglia e furore, ora conduci le ombre esangui sottoterra. Cosa sono i mortali se non ombre anzitempo? Ma godo a pensare che la madre di questo bimbetto c’è saltata da sola: se non altro ha trovato se stessa morendo.
ermete Ora so perché è morta, lei che se ne andò alle pendici del monte e fu donna e amò il Dio col suo amore tanto che ne ebbe questo figlio. Tu dici che il Dio fu spietato. Ma puoi dire che lei, Corònide, abbia lasciato dietro a sé nel pantano la voglia bestiale, l’informe furore sanguigno che l’aveva generata?
chirone Certo che no. E con questo?
ermete Gli dèi nuovi di Tessaglia che molto sorridono, soltanto di una cosa non possono ridere: credi a me che ho veduto il destino. Ogni volta che il caos trabocca alla luce, alla loro luce, devon trafiggere e distruggere e rifare. Per questo Corònide è morta.
chirone Ma non potranno piú rifarla. Dunque avevo ragione che l’Olimpo è la morte.
ermete Eppure, il Radioso l’amava. L’avrebbe pianta se non fosse stato un dio. Le ha strappato il bimbetto. Te l’affida con gioia. Sa che tu solo potrai farne un uomo vero.
chirone Ti ho già detto la sorte che attende costui nelle case mortali. Sarà Asclepio, il signore dei corpi, un uomo-dio. Vivrà tra la carne corrotta e i sospiri. A lui guarderanno gli uomini per sfuggire il destino, per ritardare di una notte, di un istante, l’agonia. Passerà, questo bimbetto, tra la vita e la morte, come tu ch’eri coglia di toro e non sei piú che il guidatore delle ombre. Questa la sorte che gli Olimpici faranno ai vivi, sulla terra.
ermete E non sarà meglio, ai mortali, finire cosí, che non l’antica dannazione d’incappare nella bestia o nell’albero, e diventare bue che mugge, serpente che striscia, sasso eterno, fontana che piange?
chirone Fin che l’Olimpo sarà il cielo, certo. Ma queste cose passeranno.