Di tante e per tant'anni
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XIV
IN MORTE
DELLA SIGNORA EMILIA ADORNA.
Di tante e per tant’anni
In Asia sparse alte querele e pianti
Fûro dolce mercede
Della bella di Sparta atti e sembianti;
5E creder fanno all’universo i canti
Dell’immortal Parnaso,
Che di Perseo la madre, alma bellezza,
Costar potesse a Giove
Diluvio di ricchezza.
10Da quale parte adunque
Sperar possiam ristoro, e donde aita,
Se oggi spenta è beltate,
Per noi mai sempre immensa ed infinita?
Deh quai faran di nostre ciglia uscita,
15Per disfogar l’angoscia,
E di notte e di dì caldi torrenti?
Quai basteran sospiri?
E sian, se sanno, ardenti.
Se la ragion di Cloto
20Il cammin di quaggiù tragge al morire,
Ma non allor, che appena
Giunse l’amata vita al suo fiorire,
Lasciar l’alme più care in fier martire,
Torsi a’ diletti usati,
25E sotterra portar nome di sposa
Di genitrice in vece,
Non è natural cosa.
Dove eri, o de’ tuoi scettri
Custode infermo, e de’ tuoi pregi alteri
30Mal difensor, non figlio
Di Citerea, ma Nume vil, dov’eri?
Ah sfortunato! popolar pensieri
Tu pur mettevi a giogo,
Lieto in ferir, siccome arcier ben forte;
35Tuoi vanti e nostri intanto
Feansi preda di morte.
Omai su queste arene
Nobile peregrin non muova il piede,
Chè più l’alto a mirarsi
40Miracol di beltà non ci si vede:
Fatta è Liguria di miserie erede,
Solo è per lei conforto,
E quinci il duol le si disgombra intorno,
Che negli Elisii Campi
45Emilia fa soggiorno.
Quivi l’antica Evadne
La man le porge, e tutta riso in faccia
Penolopèa l’incontra,
Alceste gli da baci, Argia l’abbraccia;
50Tra’ bei Cantor lingua non è, che taccia
L’inclite di lei doti;
Ma su cetera d’ôr stanca la mano,
E così fa sentirsi
L’alma del gran Tebano:
55O ben nata, o ben degna
Di goder prestamente il ben de’ cieli,
Non di posarti in terra
Lungamente a languir tra caldi e geli!
Che oggi tua luce a’ guardi lor si veli
60Contra ragion, ben sai,
Prendono a lamentar gli egri mortali;
Basti tua rimembranza
A lor temprare i mali.