Benchè di Dirce al fonte
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XV
IN MORTE
DI ORAZIO ZANCHINI.
Benchè di Dirce al fonte
Spensi primier la sete,
Che già Savona mia lunga sostenne,
E di Parnaso al monte
5Sulle piagge segrete
Di lei Cigno novel sciolsi le penne;
Non mai però m’avvenne
Sì desïata sorte,
Che di Febo intendessi
10Il canto, ond’io potessi
Vincer quaggiù l’aspro rigor di morte;
Od al suo colpo crudo
Ond’io temprassi scudo.
Colei d’alti diamanti
15L’orrido cor si serra,
Nè l’altrui merto unqua pietà vi crea;
Nè per preghi o per pianti
Unqua perdona in terra,
Sempre a’ mortali inesorabil, rea:
20Incontrastabil Dea,
Tua legge io non rifiuto,
Sì ti riprego ardente,
Me tua falce possente
Nelle piagge del dì mieta canuto,
25Chè è doppio aspro morire
Caderci sul fiorire.
Ma Te, del nostro giorno
Mattino aureo sereno,
Ria morte, Orazio, acerbamente ha spento;
30E benchè al tuo ritorno
Nel bel velo terreno
Vano sia il lagrimar, vano il lamento;
Pur piango a i pianti intento,
Onde Fiorenza suona,
35Che del tuo vago Aprile,
Già d’ogni fior gentile,
Lieta sul biondo crin portò corona;
Ora il bel crin si frange,
E sul tuo sasso piange.
40Ma la cetra soave,
Che su corde canore
Svegliava il suon della dolcezza eterna,
Fatta funesta e grave
D’immenso atro dolore,
45Tace per te nella magion paterna;
E il Dio, che almo governa
Casto le stirpe umane,
Spenta ha la face accesa;
Nè col desir contesa
50Fan più d’amor le Vergini Toscane;
Chè col gel, che ti preme,
Vedova è la lor speme.
Così di porto uscito,
Per Oceáno orrendo
55Perdi le merci a te dal Ciel concesse;
E noi quaggiù sul lito
Lasci ad ognor piangendo:
L’Austro crudel, che il tuo bel legno oppresse,
Vidi qual aurea messe,
60Che ove più ricche usciro
Dentro l’ombre inimiche
Perdeo l’amate spiche;
O quale agli occhi altrui conca di Tiro
Fra l’alghe in sull’arena
65Senz’ostro onde ella è piena.