Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
76 | poesie |
XIII
IN MORTE
DI D. VIRGINIO CESARINI.
Poichè al vivere uman stame sì forte
Non apprese a filar la man di Cloto,
Che non lo rompa insidïosa morte;
Dato almen fosse in sorte,
5Per consolarne la caduca gente,
Che uccidere a suo grado
Non fosse, ahi lasso, la crudel possente;
E non desse battaglia a gioventute,
Quando suol coronarla alta virtute.
10Ah crudeltà! mirar, quando si apriva,
Bel fior troncarsi, e traboccar sommersa T
Nobile nave in sul partir da riva:
Io per addietro udiva,
Con forte cor questo decreto eterno;
15Nè piangea, che ria falce
Far potesse di noi strano governo;
Or da me tal fortezza io non impetro,
Te mirando, o Virginio, in sul feretro.
Quale cagion di lagrimar vien meno
20Agli occhi nostri? O qual più dar consiglio
Scusa gentil di non bagnare il seno?
Egli, arricchito appieno
Nell’auree vene del gentil Liceo,
E bevve al puro fondo
25L’onde sacrate del Giordano Ebreo,
E di Sionne in cima, alto paese,
De’ sacri detti i più riposti apprese.
Or di tanta virtù pregi infiniti
Per noi sperati, ed al suo nobil merto
30Cotanti onor promessi, ove son iti?
Trenta non ben forniti
Volgimenti di Sol l’han posto in terra;
E quel, cui giù nel mondo
Par non rimane, un breve sasso il serra.
35In polve son tornati i nostri vanti,
Ed occhio fia che non sen vada in pianti?
Pianse Tetide bella il figlio spento,
E nel cordoglio sospirando trasse
Fuor degli umidi mondi il piè d’argento:
40E giusto il mio tormento,
Ella dicea, son giusti i miei martiri;
Ne punte mi rincresce,
Che tutto l’universo oggi il rimiri;
Ho per lode il mio duolo, e vo’ che duri
45La dura istoria de’ miei giorni oscuri.
L’età consumi infra le selve orrende
Chi ne dolor de’ miserabil casi,
Ne lagrimar, nè lamentare apprende.
Cosi parlando accende
50Spettacol di pietà boschi recisi;
E dell’amato Achille
Dentro mesta riponvi i membri ancisi:
Poscia intorno le fiamme ivi diffuse
Il drappel chiama dell’Aonie Muse.
55Esse col volto di mestizia impresso,
Sparse i biondi capelli, in bruna gonna,
Venner dall’ombre del gentil Permesso,
Ed arpe di cipresso,
Piangendo sua fortezza
60Manco venuta in sul fiorir primiero,
Stancaro in esaltar l’alto Guerriero,
E spargean tal dolcezza i cari accenti,
Che tacean l’acque, e non fremeano i venti,
Deh chi le prega? e giù del bel Parnaso
65In mezzo a’ sette colli oggi le scorge
A dir, Virginio, del tuo mesto occaso?
Se altro non è rimaso
Per conforto di noi, che tua memoria,
Dian le Donne immortali
70Immortale tributo alla tua gloria;
Ed invidia ed obblio non sappia come
A spegner minim’ombra al tuo bel nome.
XIV
IN MORTE
DELLA SIGNORA EMILIA ADORNA.
Di tante e per tant’anni
In Asia sparse alte querele e pianti
Fûro dolce mercede
Della bella di Sparta atti e sembianti;
5E creder fanno all’universo i canti
Dell’immortal Parnaso,
Che di Perseo la madre, alma bellezza,
Costar potesse a Giove
Diluvio di ricchezza.
10Da quale parte adunque
Sperar possiam ristoro, e donde aita,
Se oggi spenta è beltate,
Per noi mai sempre immensa ed infinita?
Deh quai faran di nostre ciglia uscita,
15Per disfogar l’angoscia,
E di notte e di dì caldi torrenti?
Quai basteran sospiri?
E sian, se sanno, ardenti.
Se la ragion di Cloto
20Il cammin di quaggiù tragge al morire,
Ma non allor, che appena
Giunse l’amata vita al suo fiorire,
Lasciar l’alme più care in fier martire,
Torsi a’ diletti usati,
25E sotterra portar nome di sposa
Di genitrice in vece,
Non è natural cosa.
Dove eri, o de’ tuoi scettri
Custode infermo, e de’ tuoi pregi alteri
30Mal difensor, non figlio
Di Citerea, ma Nume vil, dov’eri?
Ah sfortunato! popolar pensieri
Tu pur mettevi a giogo,
Lieto in ferir, siccome arcier ben forte;
35Tuoi vanti e nostri intanto
Feansi preda di morte.
Omai su queste arene
Nobile peregrin non muova il piede,
Chè più l’alto a mirarsi
40Miracol di beltà non ci si vede:
Fatta è Liguria di miserie erede,
Solo è per lei conforto,
E quinci il duol le si disgombra intorno,
Che negli Elisii Campi
45Emilia fa soggiorno.