Della tirannide (Alfieri, 1927)/Libro secondo/Capitolo III
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Capitolo Terzo
Come si possa vivere nella tirannide.
Io dunque parlerò a quei pochissimi che, degni di nascere in libero governo fra uomini, si trovano dalla sempre ingiusta fortuna, direi balestrati, in mezzo ai turpissimi armenti di coloro che nessuna delle umane facoltá esercitando, nessuno dei dritti dell’uomo conoscendo, o serbandone, si vanno pure usurpando di uomini il nome.
E, dovendo io pur dimostrare a que’ pochissimi, in qual modo si possa vivere quasi uomo nella tirannide, sommamente mi duole che io dovrò dar loro dei precetti pur troppo ancora contrari alla libera loro e magnanima natura. Oh, quanto piú volentieri, nato io in altri tempi e governi, m’ingegnerei di dar (non coi detti, ma coi fatti bensí) gli esempi del viver libero! Ma poiché vano è del tutto il dolersi dei mali che sono o paiono privi di un presente rimedio, facciasi come nelle insanabili piaghe, a cui non si cerca oramai guarigione, ma solamente un qualche sollievo.
Dico pertanto che allorché l’uomo nella tirannide, mediante il proprio ingegno, vi si trova capace di sentirne tutto il peso, ma per la mancanza di proprie ed altrui forze vi si trova ad un tempo stesso incapace di scuoterlo, dée allora un tal uomo, per primo fondamentale precetto star sempre lontano dal tiranno, da’ suoi satelliti, dagli infami suoi onori, dalle inique sue cariche, dai vizi, lusinghe e corruzioni sue, dalle mura, terreno, ed aria perfino che egli respira e che lo circondano. In questa sola severa total lontananza, non che troppo, non mai esagerata abbastanza; in questa sola lontananza ricerchi un tal uomo non tanto la propria sicurezza, quanto la intera stima di se medesimo e la puritá della propria fama, entrambe sempre, o piú o meno contaminate, allorché l’uomo in qualunque modo si avvicina alla pestilenziale atmosfera delle corti.
Debitamente cosí, ed in tempo, allontanatosi l’uomo da esse, sentendosi egli purissimo, verrá ad estimare se stesso ancor piú che fosse nato libero in un giusto governo; poiché liber’uomo egli ha saputo pur farsi in uno servile. Se costui, oltre ciò, non si trova nella funesta necessitá di doversi servilmente procacciare il vitto, poiché la nobile fiamma di gloria non è spenta affatto nel di lui cuore dalla perversitá de’ suoi tempi, non potendo egli assolutamente acquistare la gloria del fare, ricerchi con ansietá, bollore ed ostinazione, quella del pensare, del dire e dello scrivere. Ma, come pensare e dire e scrivere potrá egli in un mostruoso governo, in cui l’una sola di queste tre cose diventa un capitale delitto? Pensare, per proprio sollievo, e per ritrovare in questo giusto orgoglio di chi pensa un nobile compenso alla umiliazion di chi serve; dire ai pochissimi avverati buoni, e come tali degnissimi di compassione, di amicizia e di conoscere pienamente il vero; scrivere finalmente, per proprio sfogo, da prima; ma, dove sublimi poi riuscissero gli scritti, ogni cosa allora sacrificare alla lodevole gloria di giovar veramente a tutti od ai piú, col pubblicare gli scritti.
L’uomo che in tal modo vive nella tirannide, e degno cosí manifestasi di non vi essere nato, sará da quasi tutti i suoi conservi o sommamente sprezzato ovvero odiatissimo: sprezzato da quelli che, per non aver idea nessuna di vera virtú, stoltamente credono da meno di loro chiunque vive lontano dal tiranno e dai grandi; cioè da ogni vizio, viltá e corruzione; odiato da quegli altri che, avendo mal grado loro l’idea del retto e del bene, per esecrabile viltá d’animo e reitá di costumi, sfacciatamente seguono il peggio. Ma e quello sprezzo di una gente per se stessa disprezzabilissima sará una convincente prova che un tal uomo è veramente stimabile; e l’odio di questi altri, per se stessi odiosissimi, indubitabil prova sará che egli merita e l’amore e la stima dei buoni. Quindi non dée egli punto curare né lo sprezzo né l’odio.
Ma, se questo sprezzo e quest’odio degli schiavi si propaga fino al padrone, quel vero e solo uomo, che ne merita il nome e i doveri ne compie, per via dello sprezzo può essere sommamente avvilito nella tirannide; e per via dell’odio può esservi ridotto a manifesto e inevitabil pericolo. Questo libricciuolo non è scritto pe’ codardi. Coloro che con una condotta di mezzo fra la viltá e la prudenza non se ne possono vivere sicuri, venendo pur ricercati nella loro oscura e tacita dimora dalla inquirente autoritá del tiranno, arditamente si mostrino tali ch’ei sono; e basti per loro discolpa di poter dire che non hanno essi ricercati i pericoli, ma che, trovatili non debbono né vogliono né sanno sfuggirli.