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i. della tirannide
 



Ma, se questo sprezzo e quest’odio degli schiavi si propaga fino al padrone, quel vero e solo uomo, che ne merita il nome e i doveri ne compie, per via dello sprezzo può essere sommamente avvilito nella tirannide; e per via dell’odio può esservi ridotto a manifesto e inevitabil pericolo. Questo libricciuolo non è scritto pe’ codardi. Coloro che con una condotta di mezzo fra la viltá e la prudenza non se ne possono vivere sicuri, venendo pur ricercati nella loro oscura e tacita dimora dalla inquirente autoritá del tiranno, arditamente si mostrino tali ch’ei sono; e basti per loro discolpa di poter dire che non hanno essi ricercati i pericoli, ma che, trovatili non debbono né vogliono né sanno sfuggirli.

Capitolo Quarto

Come si debba morire nella tirannide.

Benché la piú verace gloria, cioè quella di farsi utile con alte imprese alla patria ed ai concittadini, non possa aver luogo in chi, nato nella tirannide, inoperoso per forza ci vive, nessuno tuttavia può contendere a chi ne avesse il nobile ed ardente desiderio, la gloria di morire da libero, abbenché pur nato servo. Questa gloria, quantunque ella paia inutile ad altrui, riesce nondimeno utilissima sempre, per mezzo del sublime esempio, e come rarissima, Tacito, quell’alto conoscitore degli uomini, la giudica pure esser somma. Alla eroica morte di Trasea, di Seneca, di Cremuzio e di molti altri romani proscritti dai loro primi tiranni, altro infatti non mancava che una piú spontanea cagione, per agguagliar la virtú di costoro a quella dei Curzi, dei Deci, e dei Regoli. E siccome, lá dove ci è patria e libertá, la virtú in sommo grado sta nel difenderla e morire per essa, cosí nella immobilmente radicata tirannide non vi può essere maggior gloria che di generosamente morire per non viver servo.

Parmi adunque che, nei nostri scellerati governi, i pochissimi uomini virtuosi e pensanti vi debbano vivere da prudenti,