Della tirannide (Alfieri, 1927)/Libro primo/Capitolo II

Capitolo II

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Capitolo Secondo

Cosa sia la tirannide.

Tirannide indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunitá. E quindi, o questo «infrangi-legge» sia ereditario o sia elettivo, usurpatore o legittimo, buono o tristo, uno o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva che basti a ciò fare, è tiranno; ogni societá che lo ammette è tirannide; ogni popolo che lo sopporta è schiavo. [p. 10 modifica]

E, viceversa, tirannide parimente si dée riputar quel governo, in cui chi è preposto al creare le leggi le può egli stesso eseguire, E qui è necessario osservare che le leggi, cioè gli scambievoli e solenni patti sociali, non debbono essere che il semplice prodotto della volontá dei piú; la quale si viene a raccogliere per via di legittimi eletti del popolo. Se dunque gli eletti al ridurre in leggi la volontá dei piú le possono a lor talento essi stessi eseguire, diventano costoro tiranni; perché sta in loro soltanto lo interpretarle, disfarle, cangiarle e il male o niente eseguirle. Che la differenza fra la tirannide e il giusto governo non è posta (come alcuni stoltamente, altri maliziosamente, asseriscono) nell’esservi o non esservi delle leggi stabilite, ma nell’esservi una stabilita impossibilitá del non eseguirle.

Non solamente dunque è tirannide ogni governo dove chi eseguisce le leggi le fa, o chi le fa le eseguisce; ma è tirannide piena altresí ogni qualunque governo, in cui chi è preposto all’eseguire le leggi non dá pure mai conto della loro esecuzione a chi le ha create.

Ma, tante specie di tirannidi essendovi che sotto diversi nomi conseguono tutte uno stesso fine, non imprendo io qui a distinguerle fra loro né, molto meno, a distinguerle dai tanti altri moderati e giusti governi; distinzioni che a tutti son note.

Se piú sopportabili siano i molti tiranni o l’un solo, ella è questione problematica assai. La lascierò anche in disparte per ora, perché essendo io nato e cresciuto nella tirannide d’un solo ed essendo questa la piú comune in Europa, di essa piú volontieri e con minore imperizia mi avverrá forse di ragionare; e con utile maggiore fors’anco pe’ miei cotanti conservi. Osserverò soltanto di passo che la tirannide di molti, benché per sua natura maggiormente durevole (come ce lo dimostra Venezia), nondimeno a chi la sopporta ella sembra assai men dura e terribile che quella di un solo. Di ciò ne attribuisco la cagione alla natura stessa dell’uomo, in cui l’odio ch’egli divide contro ai molti si scema; come altresí il timore che si ha dei molti non agguaglia mai quello che si ha riunitamente [p. 11 modifica] di un solo; ed in fine, i molti possono bensí essere continuamente ingiusti oppressori dell’universale, ma non mai, per loro privato capriccio, dei diversi individui. In codesti governi di piú, che la corruzione dei tempi, lo avere scambiato ogni nome e guasta ogni idea, hanno fatto chiamar repubbliche, il popolo in codesti governi, non meno schiavo che nella mono-tirannide, gode nondimeno di una certa apparenza di libertá, ed ardisce proferirne il nome senza delitto; e pur troppo il popolo, allor quando corrotto è, ignorante e non libero, egli si appaga della sola apparenza.

Ma, tornando io alla tirannide di un solo, dico che di questa ve n’ha di piú sorti. Ereditaria può essere ed anche elettiva. Di questa seconda specie sono, fra i moderni, lo stato pontificio e molti degli altri stati ecclesiastici. Il popolo, in tali governi, pervenuto all’ultimo grado di politica stupiditá, vede a ogni tratto, per la morte del celibe tiranno, ricadere in sua mano la propria libertá che egli non conosce né cura; quindi se la vede tosto ritogliere dai pochi elettori che gli ricompongono un altro tiranno, il quale ha per lo piú tutti i vizi degli ereditari tiranni, e non ne ha la forza effettiva per costringere i sudditi a sopportarlo. E questa tirannide pure tralascerò, come toccata in sorte a pochissimi uomini e, per la loro smisurata viltá, indegni interamente di un tal nome.

Intendo io dunque di ragionare oramai di quella ereditaria tirannide, che da lunghi secoli in varie parti del globo piú o meno radicata, non mai, o rarissimamente o passegeramente, ricevea danni dalla risorta libertá: e non veniva alterata o distrutta se non se da un’altra tirannide. In questa classe annovero io tutti i presenti regni dell’Europa, eccettuandone soltanto finora quel d’Inghilterra1; e la Polonia ne eccettuerei, se alcuna parte di essa salvandosi dallo smembramento, e persistendo pure nel volere aver servi e chiamarsi repubblica, servi ne divenissero i nobili e libero il popolo. [p. 12 modifica]

Monarchia è il dolce nome che la ignoranza, l’adulazione, e il timore davano e danno a questi sí fatti governi. A dimostrarne la insussistenza, credo che basti la semplice interpretazione del nome. O monarchia vuol dire la esclusiva e preponderante autoritá d’uno solo; e monarchia allora è sinonimo di tirannide; o ella vuol dire l’autoritá di un solo, raffrenato da leggi le quali, per poter raffrenare l’autoritá e la forza, debbono necessariamente anch’esse avere una forza ed autoritá effettiva, eguale per lo meno a quella del monarca; e in quel punto stesso in cui si trovano in un governo due forze e autoritá in bilancia fra loro, egli manifestamente cessa tosto di essere monarchia. Questa greca parola non significa altro in somma, fuorché Governo ed autoritá d’uno solo; e con leggi, s’intende; perché niuna societá esiste senza alcuna legge tal quale: ma ci s’intende pur anco Autoritá d’un solo sopra alle leggi; perché niuno è monarca, lá dove esiste un’autoritá maggiore o eguale alla sua.

Ora, io domando in qual cosa differisca il governo e autoritá di un solo nella tirannide, dal governo e autoritá d’un solo nella monarchia. Mi si risponde: «Nell’abuso». Io replico: «E chi vi può impedire quest’abuso?» Mi si soggiunge: «Le leggi». Ripiglio: «Queste leggi hanno elle forza ed autoritá per se stesse, indipendente affatto da quella del principe?» Nessuno piú a questa obiezione mi replica. Dunque, all’autoritá d’un solo, potente ed armato, andando annessa l’autoritá di queste pretese leggi (e fossero elle puranche divine), ogni qualvolta le leggi e costui non concordano, che faranno le misere, per se stesse impotenti, contro alla potestá assoluta e la forza? Soggiaceranno le leggi; e tutto giorno, in fatti, soggiacciono. Ma se una qualunque legittima forza effettiva verrá intromessa nello stato per creare, difendere e mantenere le leggi, chiarissima cosa è che un tale governo non sará piú monarchia; poiché al fare o disfare le leggi l’autoritá d’uno solo non vi basterá. Onde, questo titolo di monarchia, perfettissimo sinonimo di tirannide, ma non cosí abborrito finora, non viene adattato ai nostri governi per altro che per accertare i principi [p. 13 modifica] della loro assoluta signoria, e per ingannare i sudditi, lasciandoli o facendoli dubitare della loro assoluta servitú.

Di quanto asserisco, se ne osservi continuamente la prova nella opinione stessa dei moderni re. Si gloriano costoro del nome di monarchi, e mostrano di abborrire quel di tiranni; ma nel tempo stesso reputano assai minori di loro quegli altri pochi principi o re che, ritrovando limiti infrangibili al loro potere, dividono l’autoritá colle leggi. Questi assoluti re sanno dunque benissimo che fra monarchia e tirannide non passa differenza nessuna. Cosí lo sapessero i popoli che pure tuttora colla loro trista esperienza lo provano! Ma i principi europei di tiranni tengono caro il potere, e di monarchi il nome soltanto; i popoli all’incontro, spogliati, avviliti ed oppressi dalla monarchia, la sola tirannide stupidamente abborriscono.

Ma i pochi uomini che re non sono né schiavi, ove per avventura non tengano a vile del paro i principi tutti, i monarchi, come tiranni, ed i principi limitati, come perpetuamente inclinati a divenirlo; i pochi veri uomini pensanti si avveggono pure quanto sia piú onorevole, piú importante, e piú gloriosa dignitá il presiedere con le leggi ad un libero popolo d’uomini che il malmenare a capriccio un vile branco di pecore.

Tralascio ogni ulteriore prova (che necessaria non è) per dimostrare che una monarchia limitata non vi può essere, senza che immediatamente cessi la monarchia; e che ogni monarchia non limitata è tirannide, ancorché il monarca in qualche istante, non abusando egli in nessun modo del suo poter nuocere, tiranno non sia. E tali prove tralascio per amor di brevitá, e perché intendo di parlare a lettori a cui non è necessario il dir tutto. Passerò quindi ad analizzare la natura della monotirannide, e quai sono i mezzi per cui, cosí ben radicatasi nell’Europa, inespugnabile ella vi si tiene oramai.


Note

  1. Questo libro era scritto nel 1777: e la Francia allora dormiva di un marcidissimo sonno.