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libro i - capitolo ii
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mai rendere abborrevoli abbastanza. Il nome di re, all’incontro, essendo finora di qualche grado meno esecrato che quel di tiranno, si dovrebbe dare a quei pochi che, frenati dalle leggi e assolutamente minori di esse, altro non sono in una data societá che i primi e legittimi e soli esecutori imparziali delle giá stabilite leggi.

Questa semplice e necessaria distinzione, universalmente ammessa in Europa, verrebbe ad esser la prima aurora di una rinascente libertá. È il vero che nessuna cosa poi tra gli uomini riesce permanente e perpetua; e che (come giá il dissero tanti savi) la libertá, pendendo tuttora in licenza, degenera finalmente in servaggio; come il regnar d’un solo, pendendo sempre in tirannide, rigenerarsi finalmente dovrebbe in libertá. Ma siccome per quanto io stenda in Europa lo sguardo, quasi in ogni sua contrada rimiro visi di schiavi; siccome non può oramai la universale oppressione piú ascendere, ancorché la non mai fissabile ruota delle umane cose appaia ora immobile starsi in favor dei tiranni, ogni uomo buono dée credere e sperare che non sia oramai molto lontana quella necessaria vicenda, per cui sottentrare alfin debba all’universale servaggio una quasi universal libertá.

Capitolo Secondo

Cosa sia la tirannide.

Tirannide indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle od anche soltanto deluderle, con sicurezza d’impunitá. E quindi, o questo «infrangi-legge» sia ereditario o sia elettivo, usurpatore o legittimo, buono o tristo, uno o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva che basti a ciò fare, è tiranno; ogni societá che lo ammette è tirannide; ogni popolo che lo sopporta è schiavo.