Della ragione di stato (Settala)/Libro II/Cap. XXIII.

Cap. XXIII.

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Capitolo XXIII

Della ragion di stato regia rispetto de’ patrici,
acciò non si facci mutazione nel governo aristocratico.

Nel senato romano sotto Tiberio fu parere di Asinio Gallo, che i comizi per crear i magistrati non si facessero se non ogni cinque anni, e che il prencipe nominasse dodici candidati per ciascuno anno. Dove Tacito nel secondo degli Annali dice, [p. 88 modifica] non esser dubbio che questo voto penetrava piú altamente a’ segreti dell’imperio. Questo comprende gran ragione di stato regia contro i patrici. Perché molte cose ritengono apparenza di vero che in segreto vengono indrizzate al contrario: e perciò l’accortissimo Tiberio, accorgendosi dove andava a ferire quel parere, e scorgendo, oltre il fine, esser ancora proposto per penetrare il segreto del suo animo e la sua inclinazione, mostrò di aver contrario parere di quello, che veramente egli aveva. E perciò l’istorico segue: «Tuttavia Tiberio ne discorreva, come se perciò fosse cresciuta la sua autoritá»; perché essendo contro la sua intenzione, che egli aveva nel modo di governare, e scorgendo la durazione negli uffici e governi publici, la quale tenga colore di perpetuitá, esser contro la conservazione della sua monarchia: per non discoprire, con negar ciò che nel voto era proposto, il segreto dell’animo suo, ancor che non l’ammettesse, mostrò ciò fare per modestia, acciocché la sua potenza non si accresca soverchiamente, non mostrando d’intendere il misterio, che si contiene nella proposta. Era però questo tutto per ragion di stato. Prima perché la creazione dei magistrati appartiene al prencipe. Di piú per meglio ributtare quel parere di Asinio Gallo soggiunge: che gli uffici, che non durano molto tempo, hanno almeno questo di buono, che coloro, li quali una volta vengono esclusi dal potergli ottenere, sopportano ciò piú pazientemente per la speranza della seconda nomina «Per il contrario, insuperbirsi gli uomini con essere eletti al magistrato annuo; e che sará se per cinque anni lo possederanno?». Inoltre, «appena potersi fuggire l’offese, che si fanno per le ripulse d’ogni anno, ancora che la vicina speranza gli consoli; quanto adunque penseremo che sii per partorire d’odio, se saranno esclusi per cinque anni?» Ma di piú, con tal determinazione si sminuisce la facilitá al prencipe di gratificar molti; essendo però che il prencipe piú di ciò ha bisogno, principalmente se sará prencipe nuovo, cioè del favore, e benivolenza de’ cittadini. E di quanta importanza sta al prencipe il poter molto gratificare i suoi cittadini insegnò Aristotele al secondo della Politica, al capo settimo; e Cassiodoro di [p. 89 modifica] questo cosí diceva: «Perciò piacque ai nostri antichi di rinnovare ogni anno le dignitá: acciò uno con la lunghezza della dignitá non si facesse insolente, e il compatirle a molti moltiplicasse l’allegrezze». I re di Francia ogni dí provano l’inobedienza de’ prencipi, a’ quali commettono il governo delle provincie, per concedergliene in vita anzi con successione a’ figliuoli. E per questo Aristotele riprese la republica de’ spartani. E questa fu la causa perché Augusto ritrovò nuovi offici, acciò piú cittadini partecipassero dell’amministrazione della republica.

Non permetterá che alcun cittadino potente facci azioni publiche, con le quali si acquisti l’applauso del popolo a sue spese; e per questo Tiberio non permetté che i tribuni della plebe a sue spese facessero i giuochi gladiatori, ma volle che si facessero tolto il denaro dalla tesoreria imperiale: acciò con questa popolaritá la republica non tornasse al suo primiero stato.

Inoltre con gran prudenza politica Augusto provvide, che i consoli e i pretori, li quali al tempo della republica, avendo avuto in sorte una provincia, finito il consolato o la pretura ritornavano con imperio in quella provincia, deposta la dignitá se ne restassero per cinque anni, avanti che andassero nella provincia: il che egli ordinò a questo fine, acciò quella alterigia e ferocitá d’animo, che avevano concepita e imbeverata per la grandezza di quella dignitá, con quella vita privata di cinque anni si moderasse.

Per questa medesima causa credo io, che i prefetti del pretorio, che prima erano uomini militari, essendo che tale officio era, come dice Zosimo, troppo grande, e vicino allo scettro, furono mutati in uomini da toga e giureconsulti: parendo agli imperatori esser cosa di troppo pericolo dar tanta potenza ad uomini militari, per ben che fossero ancora di basso nascimento.