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della ragion di stato - ii 87


Procurerá, se conoscerá aver molti della plebe oziosi, d’inviarli alla guerra, o per sé e suo imperio, o in servizio d’altri amici: perché cosí purgherá la cittá d’uomini contumaci e viziosi, e a sé preparerá soldati al bisogno.

Se non vi sará occasione di guerra, troverá modo di esercitare la plebe oziosa in opere faticose, ma di guadagno: cosí fece Erode, re de’ giudei, del quale dice Gioseffo, nel libro decimoquinto nel capo decimoterzo, in questo modo avere schivato molte congiure e sollevamenti, per aver levato l’ozio alla plebe, avendola del continuo tenuta in esercizi faticosi. Il che ancora osservò Aristotele nel sesto della Politica. A questo ebbe mira Livio nel libro sesto quando scrisse: Timor inde patres incessit, ne si dimissus exercitus foret, rursus coetus occulti coniurationesque fierent.

Perché questa è la natura della plebe che, posta in pericolo, piú presto e piú facilmente fará l’officio suo, che dove ogni cosa cammina felicemente. Non è da stimar poco nelle grandi cittá il conoscere gli ingegni de’ particolari, tra’ quali alcuni odiano il modo del dominare regio, altri lodano il popolare, altri l’aristocratico. Altri sono parziali del prencipe, che domina ancor che malo, altri lo odiano, ancorché buono: come uno è tutto parziale de’ spagnuoli, altri de’ francesi, altri de’ veneziani, altri di Savoia; come scrive Aristotele di una certa cittá d’Ioma nel quinto della Politica al capo terzo, e Plutarco di Atene, di Parigi il Monstroletto, di Arras il Comineo; e di Roma e di Milano ognun lo sa.

Capitolo XXIII

Della ragion di stato regia rispetto de’ patrici,
acciò non si facci mutazione nel governo aristocratico.

Nel senato romano sotto Tiberio fu parere di Asinio Gallo, che i comizi per crear i magistrati non si facessero se non ogni cinque anni, e che il prencipe nominasse dodici candidati per ciascuno anno. Dove Tacito nel secondo degli Annali dice,