Della ragione di stato (Settala)/Libro II/Cap. XXII.
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Capitolo XXII
Della prudenza politica regia contro la plebe,
acciò non procuri mutando il governo regio introdurre il popolare.
Benché quel re o prencipe, che nel suo governo camina per quella strada o con quei modi, che sin qui si sono proposti, appaia non dover dubitare o di sollevazione dei popoli o d’insidie de’ nobili e piú potenti, procurando con quelli e di ben governarsi e di dar compimento a tutti: perché però bene spesso avviene, che il popolo o sazio del presente modo di republica, o per la naturale sua mobilitá, o perché in alcune provincie è di cosí mala inclinazione che spesso prorompe in male azioni; essendo con ragione ancora castigato, pigliando a odio e il prencipe dominante e il suo modo di governare, ambisce e procura la mutazione, eleggendosi, o del suo corpo o de’ nobili, alcuno; e anco o per povertá, o per essere o castigato o abbassato o depresso o per le male azioni malcontento: mi è parso ancora in questo luogo proporre alcuni ricordi e rimedi, con li quali il prencipe possa a questo male, che gli soprastasse, opporsi.
Prima procurare l’abondanza delle vittovaglie e delle cose necessarie, acciò non abbi occasione di procurare cose nuove: che non si è vista cosa in qualsivoglia sorte di governo che piú mova a sollevazione, che tal mancamento.
Mostri non aver cosa piú a cuore, che il ben publico, ma in particolare il procurare l’utilitá de’ poveri e la loro protezione.
Concederá alla plebe e popolari con prontezza certi uffici, che siano pure in apparenza qualche cosa, con qualche titolo di dignitá o superioritá vicendevole; acciò contenti possano amare il prencipe, non essendo cosa che piú sdegni la plebe, che vedersi o sprezzare o tralasciare come o indegna o inutile. Benissimo disse a questo proposito Livio nel libro quarto: Et principes plebis ea comitia malebant, quibus non haberetur ratio sui, quam quibus ut indigni preterirentur.
Tiberio prencipe, pur troppo prattico di dominare, per fortificarsi nell’amore della plebe bene spesso volle esser presente ai giudici e alle spedizioni de’ piú potenti, della quale azione benissimo disse Tacito: Sed dum veritati consulitur, libertas corrumpebatur.
Deve mostrare in oltre di stimar molto la plebe, e di volerle conceder qualche dignitá e offici. Perché questa è la natura della plebe, che ciò sopra ogni altra cosa desidera, che si facci ancora di lei capitale; il che impetrato, ogni altra cosa publica trascura. Come fece la plebe romana, acquistata che ebbe l’autoritá di creare i magistrati: dove, dice Livio al libro quarto, si credeva da ogni uno senza un dubbio, che la plebe fosse per creare il piú sedizioso, che fosse fra di loro: nientedimeno il successo di quei comizi mostrò altri esser gli animi dei tali, mentre sono posti in contesa di conservarsi la libertá e l’autoritá di disporre delle dignitá, altri quando, acquetati gli animi, e ottenuto l’intento, nell’elezione da farsi, con prudente giudicio. Imperciocché il popolo in quel caso elesse tutti i tribuni patrici, contento solo, che si fosse fatto conto della plebe.
Anderá secretamente e procurando di sapere se tra’ popolari vi sia alcuno di stirpe inquieto e bellicoso e sedizioso; e che o per se stesso o per mezzo di qualche nobile e ricco, che fosse della medesima natura, potesse tentare qualche novitá, perché in tal caso bisognerá osservando gli andamenti loro e occorrendo qualche sospetto; o disgiungerli, mandando con qualche occasione in lontan paese uno di essi; o se si accrescesse il sospetto, carcerarlo per qualche tempo senza però che ne sappi la causa.
Non permetterá congregazione de’ plebei sotto qualsivoglia titolo, senza la presenza di uno delegato da lui di animo quieto, e a lui fedele.
A’ popoli bellicosi ancor che siano ben trattati, non conviene concedergli l’uso ordinario dell’armi: se ben non sará male ne’ giorni feriali esercitargli nell’arte militare sotto maestri nobili ed esercitati in tal professione.