Della imitazione di Cristo (Cesari)/Libro IV/CAPO XI
Questo testo è completo. |
Traduzione dal latino di Antonio Cesari (1815)
◄ | Libro IV - CAPO X | Libro IV - CAPO XII | ► |
CAPO XI.
Che il corpo di Cristo, e la sacra Scrittura sono
grandissimamente necessari all’anima fedele.
PAROLE DEL DISCEPOLO.
1. Dolcissimo Signore Gesù, quanto dolce è il piacere dell’anima divota, che sta teco mangiando nel tuo convito! dove a mangiar non le è porto altro cibo, se non tu unico amato suo, a lei sopra tutto ciò che il suo cuore desideri, desiderabile. Or a me sarebbe pur dolce se io potessi nella presenza tua per intimo affetto gettar lagrime, e come la pia Maddalena, lavar con esse i tuoi piedi. Ma dove è ella cotal divozione? dove il copioso sovrabbondar delle lagrime sante? Ma certo nel cospetto di te, e de’ santi Angeli tuoi dovrebbe il mio cuor divampare, e piangere di dolcezza: essendo che io t’ho in verità presente nel Sacramento, quantunque sotto strana apparenza celato.
2. Imperciocchè non potrebbono gli occhi miei sostenere di riguardarti fiso nella tua propria divina chiarezza; anzi nè pur tutto il mondo reggerebbe al fulgor della gloria della tua maestà. In questo adunque tu provvedi alla mia infermità, che nascondi te stesso nel Sacramento. Io ho qui veramente, e adoro colui, il quale gli Angeli adorano in cielo; sebben io mentrecchè vivo, tuttavia in fede, e quegli in visione e senza velame. A me bisogna esser contento di stare nel lume della vera fede, e in quella perseverare infinattanto che il giorno mi nasca dell’eterna chiarezza, e le ombre delle figure dien luogo. Come sia poi venuto quel ch’è perfetto, così cesserà l’uso de’ Sacramenti; poichè a Beati nella gloria celeste non fa alcun bisogno di sacramental medicina; ch’eglino godono senza fine della presenza di Dio, faccia a faccia la gloria di lui contemplando; e trasformati di una in altra chiarezza, nel pelago dell’essenza divina, gustano il Verbo di Dio fatto carne, così come egli fu da principio, e vive in eterno.
3. Ora quando sì fatte meraviglie mi torno a mente, in grave noja mi viene qual che si voglia spirituale consolazione: poichè infinattanto che il Signor mio apertamente non vegga nella sua gloria, io reputo niente tutto quello ch’io veggo e sento nel mondo. Tu mi sei testimonio, o mio Dio, che nessuna cosa non ho che possa darmi conforto, nessuna creatura che vaglia a quietarmi, se non tu solo, mio Dio, il quale io desidero di poter contemplare in eterno. Ma questo non m’è possibile, in mentre che io vivo in questa vita mortale. Però m’è d’uopo dispormi a lunga pazienza, e me stesso a te sottomettere in ogni mio desiderio. Imperocchè anche i tuoi Santi, o Signore, che son già teco beati nel regno de’ cieli, in fede ed in grande pazienza, vivendo essi, aspettavano la manifestazione della tua gloria. Ciò che essi credettero il credo io: ciò che essi sperarono, lo spero io: là dove essi son giunti, porto fidanza di dover io pur giungere, in tua mercè. Camminerò in fede frattanto, dagli esempi incoraggiato de’ Santi. Io avrò i santi libri in conforto, ed in ispecchio di vita: e sopra tutte coteste cose, il santissimo corpo tuo in singolar rimedio, e rifugio.
4. Imperciocchè due cose io mi sento oltremodo necessarie in questa miserabile vita, senza le quali io la mi proverei intollerabile. Ritenuto nel carcere di questo corpo, di due cose confessomi aver bisogno; ciò sono, il cibo, e la luce. Tu hai pertanto a me infermo dato la sacra tua carne in refezion di mente e di corpo; e la tua parola hai posto come lucerna a’ miei passi. Senza ambedue queste cose, io non potrei già viver mai bene: conciossiachè la parola di Dio è luce all’anima mia; e il tuo Sacramento, pane di vita. Queste potrebbono anche appellarsi due mense, quinci e quindi nel tesoro della santa Chiesa locate: l’una è il sacro altare, dove messo è il pane santo, cioè il prezioso corpo di Cristo: l’altra la legge divina, la qual contiene la santa dottrina, ammaestra altrui nella fede verace, e scorge sicuramente fin dentro dalle cortine, dov’è il Sancta Sanctorum. Grazie a te sieno, Signor mio Gesù, lume d’eterna luce, per la mensa della sacra dottrina, la quale per gli Profeti, ed Apostoli servi tuoi, e per gli altri maestri, ci hai apprestata
5. Grazie a te, Creatore, e Redentore degli uomini, che a manifestare a tutto il mondo la tua carità, mettesti quella gran cena, nella quale non l’agnello figurativo, ma il santissimo corpo, e ’l sangue tuo ci desti a mangiare; rallegrando tutti i fedeli del tuo sacro convito, e del vino salutevole innebriandogli, in cui sono tutte le delizie del paradiso; anzi e insieme con noi si satollano a questa cena gli Angeli santi: ma essi ne prendono diletto di più beatifica soavità.
6. Oh quanto è grande, ed onorevole il grado de’ Sacerdoti! a’ quali è dato di consecrare con le sante parole il corpo del Signore della maestà, benedirlo con le labbra, tenerlosi tra le mani, prenderlo in bocca propria, e altrui ministrarlo. Oh! quanto monde voglion essere quelle mani, quanto pura la bocca, come santo il corpo, quanto immacolato il cuore del Sacerdote, nel quale entra cotante volte l’autore della purità! Nessuna parola altro che santa, nessuna altro che onesta ed utile, non dee uscire di bocca al Sacerdote, il quale prende così sovente il Sacramento di Cristo.
7. Gli occhi di lui debbono essere semplici e pudici, i quali sono usati di rimirare nel corpo di Cristo. le mani pure e levate verso il cielo, le quali sogliono maneggiare il Creator della terra e del cielo. A’ Sacerdoti in singolar modo detto è per la legge: Fate d’essere santi, perchè io Signore Dio vostro son Santo.
8. Deh! la tua grazia, Dio onnipotente, ci ajuti; acciocchè noi che siamo entrati all’ufficio sacerdotale, possiamo degnamente e religiosamente, in tutta purezza e buona coscienza adoperarci ne’ tuoi servigi. E quantunque non si possa per noi vivere in tanta innocenza di vita, come è richiesto, concedine non pertanto, che noi condegnamente piangiamo i mali commessi, e che con ispirito d’umiltà, e con sincero proponimento più ferventemente serviamo a te per innanzi.