Della architettura della pittura e della statua/Della architettura/Libro sesto – Cap. V

Libro sesto – Cap. V

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Del ragionevole scompartimento, et dell’adornare le mura, et il tetto, et quale ardine, et modo si habbia a tenere nel mettere le cose insieme accuratamente.

cap. v.


A
Ncor che nel primo libro si sia trattato de lo seompartimento quasi che a bastanza, nientedimeno lo riandremo brevissimamente in questa maniera. Il principale ornamento in qual si voglia cosa è che non vi sia sconvenevolezza alcuna. Sarà adunque ragionevole quello seompartimento, che non sarà interrotto, confuso, perturbato, sciolto, composto di parti sconvenevoli, et che non harà troppe membra, non troppo piccole, non troppo grandi, non troppo discordanti, et deformi, non quasi separate, et fiaccate dal restante del corpo. Ma vi saranno tutte le cose, secondo che ricerca la natura, la utilità, et il bisogno de le faccende, che vi si hanno a trattare, talmente terminate, et talmente condotte a fine, con tale ordine, numero, grandezza, collocatione, et forma, che noi dobbiamo conoscere che di tutta quella fabrica non è parte alcuna fatta senza qualche necessità, senza molta commodità, et senza una gratissima leggiadria di tutte le parti. Imperoche se certamente con queste cose si confarà bene qual si voglia scompartimento, in esse ancora, oltra che la leggiadria, et lo splendore de li ornamenti vi torneranno bene, vi risplenderanno ancora più chiari: Se egli non vi si confarà, non vi potrai certo mantenere dignità alcuna. Et però e’ bisogna che tutto il composto de le membra sia ben guidato, et perfettamente condotto, di maniera che e’ paia fatto quasi per necessità, et per commodità, talmente che non solamente ti diletti che vi sieno queste, et queste altre parti, ma che queste stesse in questo luogo, con questo ordine, in questo sito, con questa aggiunta, con questa collocatione, con questa forma, sieno poste egregiamente. Quanto ad adornare le mura, et i palchi, tu harai certo molti luoghi da spiegarvi le rarissime doti de la natura, et la scientia de l’arte et la diligentia de lo Artefice, et la forza de lo ingegno. Ma se per aventura tu havessi commodità di potere immitare quello antico Osiride, il quale dicono che fece duoi tempii d’oro, uno a Giove Celeste, et l’altro a Giove Regio, o che tu potessi alzare in alto qualche grandissima Pietra, fuori de l’opinione de gli huomini, come quella, che condusse [p. 140 modifica]Semiramis da monti di Arabia, che per ogni verso era grossa quindici braccia, et lunga cento dodici, et mezo: o se tu havessi tal grandezza di Pietra, che tu ne potessi fare alcuna parte de l’opera d’un solo pezzo, si cone dicono che era in Egitto quella cappelletta al tempio di Latona, larga in faccia quaranta cubiti, et cavata in un sasso di un solo pezzo, e cosi coperta d’un altro sasso, pur d’un pezzo solo; questo certo arrecherebbe a l’opera maraviglia non piccola, et tanto più se il sasso fosse forestiero, et condotto per cammino difficile, come quello, che descrive Erodoto esser stato condotto da la Città Elefantina, largo in faccia più di quindici braccia, alto undici e un quarto, condotto in termine di venti giorni fino a Sui. E’ cosa appartenente ancora egregiamente al genere de gli adornamenti, che qual si voglia Pietra degna di ammiratione sia posta in luogo nobile, et honorato. A Chemmin Isola in Egitto, quel tempietto, che vi è, non è tanto maraviglioso per esser coperto d’una pietra d’un solo pezzo, quanto per essere detta Pietra di cotanti cubiti, posta sopra mura di cotanta altezza. Arrecherà ancora ornamento lo essere detta Pietra rara, et eccellente, come verbi gratia se ella fusse di quella spetie di marmi che sono puri, candidi, et trasparenti di modo che serrate tutte le porte paia che dentro vi sia rinchiusa la luce: de la qual sorte dicono che Nerone fece nel suo aureo Palazzo il tempio de la Fortuna. Tutte queste cose finalmente faranno bene; ma qualunque elle sieno, saranno cose inette, se nel comporle insieme non si userà ordine, et modo più che diligente, conciosia che ciascuna di loro si ha a ridurre a numero, di maniera che le pari corrispondino a le pari, le da destra a quelle da sinistra, le da basso a quelle da alto, non vi intraponendo cosa alcuna, che perturbi o le cose, o gli ordini, aggiustando tutte le cose a determinati angoli, con linee simili, et uguali. Puossi certamente vedere che alcuna volta una materia ignobile per esser maneggiata con arte, arreca seco più gratia, che una nobile in altro luogo confusamente ammassata. Chi direbbe mai che quel muro di Atene, che Tucidide racconta che fu fatto tanto tumultuariamente che vi messono sino a le statue levate da Sepolcri, fusse per tal caso bello? cioè per esser pieno di strage di statue? Cosi per il contrario ne diletta di riguardare le alzate mura de gli Antichi edificii contadineschi, fatte di Pietre incerte, diminute, et di ragunaticci dove gli ordini stanno conguagliati, et dipinti a vicenda di colori bianchi, et neri, di maniera che e’ pare che secondo la piacevolezza de l’opera, e’ non vi si possa desiderare più altro. Ma questo si appartiene forse più a quella parte de le mura, che si dice lo intonicare, che a lo alzare la vera saldezza de le mura. Finalmente tutte quelle cose, che sono assai, si debbono distribuir di maniera, che e’ non vi sia cominciata cosa alcuna, se non quelle, che furono da prima destinate da la arte, et dal consiglio, non vi sia accresciuto cosa alcuna oltre a quelle, che ricerca la ragione de le cose principiate, non vi sia lasciata cosa alcuna per finita, che non sia con grandissima cura, et diligentia finita, et perfetta. Ma il principale ornamento de le mura, et de le coperture, et marmo de le volte è esso intonico (io ne eccettuo sempre i colonnati). Et può certamente questo intonico esser di più sorti: o e’ sarà bianco stietto, o e’ sarà pieno di statue, et di stucchi, o di pitture, o di intavolati, o di cose commesse a piano, o di musaico, o d’un mescuglio di tutte queste cose.