Del veltro allegorico di Dante/XXXIV.
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XXXIV. Stanco di tante sciagure, ingannato sempre dalla speranza, 1 ’Alighieri venne da Reggio per la seconda volta in Lunigiana, ove diè le ultime cure al suo Inferno. E veduto l’imperio privo di capo, né confidandosi che il successore di Alberto austriaco sarebbe stato meno indolente degli affari d’Italia, decretò di abbandonarla; vago piuttosto di patire la compassione degli stranieri che degl’italiani.
Colá dove la Magra, maestoso fiume, termina il corso, a destra della sua foce, si prolunga nel mare Monte Caprione, antico retaggio dei vescovi di Luni e dei Malaspina. La punta estrema di Monte Caprione chiamasi del Corvo: qui comincia il golfo di Spezia, un di porto di Luni, sulla deliziosa ligure spiaggia. Nelle altezze delle quali si corona quel golfo, frequenti appariscono i castelli, ove imperavano gli Spinola, i Doria, i Fieschi ed i Malaspina. Intorno al Corvo il piccolo porto di Lerice da una parte fa vaga mostra di sé; dall’altra ergasi un monticello stilla Magra: in questo, nel 1176, Pipino vescovo di Luni fondò il monistero di Santa Croce del Corvo. Nel principio del secolo XIV i romitani di santo Agostino l’abitavano, e frate Ilario era il priore. Oggi della chiesa non sopravanza che il coro: i naufraghi vi appendono i voti. La bellezza del luogo allettò l’Alighieri; e, saputo che frate Ilario del Corvo era amico d’Uguccione, andonne incognito al monistero. Stava il frate in sull’uscio coi suoi, allorché vide uno straniero entrar nella chiesa: il volto era di uomo afflitto dalla sventura. Interrogato che volesse? — Pace, — rispose. Il frate trattolo in disparte, domandò e seppe il nome: — Voi dunque siete colui del quale parla tanto la fama? — Io sono; e intendo girne alle parti di oltremonte, non si, che io non volessi lasciare di me alcun monumento agl’italiani, acciocché non perdano affatto la memoria dell’esule.—Si favellando, trasse un libro dal seno: e — Questo è — disse — la prima parte del mio poema, questa la cantica deWInferno. Invialo, ti prego, ad Uguccione della Faggiola con alcune brevi dichiarazioni, delle quali ti aprirò il senso. — Il che fatto, ei recitò al frate i primi tre versi del poema latino1; e, narratogli le cause dell’avere scritto in volgare, il supplicò di scrivere ad Uguccione, che bene il suo amicissimo Alighieri avea considerato l’Italia: non avervi egli saputo scorgere se non tre soli magnanimi, ai quali offerire le tre parti dell’opera: gradisse L l’guccione la prima: e se un di gli venisse vaghezza di averle tutte, cercasse le altre due presso Moroello marchese Malaspina (il figlio di Franceschino) e Federigo re di Sicilia. Qui egli tolse congedo. I monaci erano allora i messaggeri piú fidi e piú rispettati: né male Dante si appose nello scegliere Ilario per inviare VInferno ad Uguccione, cui non era facile in quei tempi come nei nostri di scrivere dalla Lunigiana in Arezzo. Alla fine del 1308 vivendo il Faggiolano in pace coi neri, qualunque fosse l’animo suo, si voleva esser cauto; né dovea l’Alighieri spiacergli rivelando egli stesso inopportunamente il senso delle allegorie con le quali avea creduto necessario di celare alcune sue o allusioni o speranze politiche. Ma, volendogli pure affidare alcuno dei suoi piú riposti pensamenti, e non osando scrivere, qual non convinsi ad uomo inverso a signore che o tenga o faccia sembiante di tenere parti contrarie, implorò l’opra del frate: il quale promise di contentarlo. Scorsi alquanti giorni, l’Alighieri s’incamminò alla volta di Francia: e, quasi testimoni del suo viaggio, ei rammentava nei principi del Purgatorio e Lerici (Purg. III, 49) e Noli (Purg. IV, 25) e Turbia (Purg. Ili, 49), che nell’andare oltremonti avea visitato sull’una e sull’altra riviera di Genova.
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Ultima regna canam fluido contermina mundo;
spiritibus quae lata patent: quae proemia solvunt
prò mentis quicumque suis.