Del veltro allegorico di Dante/XLII.

XLII.

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XLI. XLIII.

[p. 77 modifica]XLII. Brescia in quel tempo, aiutata dall’oro dei sanesi e dei fiorentini, coraggiosamente si difendea. I primi fra gl’imperiali erano al campo di Arrigo: e con grosso nerbo di stipendiali veronesi e vicentini.sopravenne Can della Scala, che si attendò sul monte di San Floriano. Infine la cittá per fame si arrese. Ma l’esempio non bastò a dissuadere Giberto di Correggio dal sollevarsi contro Arrigo non appena che fu partito di Parma il vicario imperiale Franceschino Malaspina. Potè allora conoscere il re dei romani qual danno gli fosse stato l’aver perduto piú di sei mesi nella espugnazione di una sola cittá. In quella stagione, mentre ancor durava l’assedio di Brescia, l’Alighieri scriveva tre canti del Purgatorio dal sedicesimo al decimottavo: nei quali tutti i suoi pensieri non sono rivolti se non alla Lombardia, ove ardeva la guerra. E per [p. 78 modifica] questo introduce un veneto chiamato Marco Lombardo, a compiangere i mali di quella contrada italiana, e la cessazione del suo antico splendore: tre vecchi vivevano al principio del 1300, Marco diceva; tre soli vecchi, ed in onta del secolo. Spenti essi, ogni cortesia sarebbe mancata ed ogni valore tornato al nulla: erano Corrado di Palazzo da Brescia, e Guido di Castello da Reggio, e Gerardo di Camino giá signor di Trevigi e padre della celebre Caia. Ed ecco, non altrimenti che la Romagna e la Toscana, tutta la Lombardia compresa nei rimproveri del poeta: dai quali egli niuno, salvo i tre, n’eccettuava. E riparlò di Verona, ma senza far motto dei due Scaligeri che regnavano; scagliandosi anzi contro il lor padre Alberto (Purg. XVIII, 121-123) e piú contro il fratello Giuseppe abate di San Zeno; del quale biasimò i natali e le qualitá non meno deH’animo che del corpo (ibid., 124-126). Siffatti oltraggi contro due della famiglia, e il suo silenzio intorno a Cane Grande bastino a far prova di quanto poco in quel tempo calesse a Dante di Cane.

Accompagnato intanto dallo Scaligero e dagli altri signori d’Italia l’imperatore Arrigo VII dalla sottomessa Brescia venne a Pavia, donde spedi nuovi ainbasciadori di pace a Firenze: di tal numero furono Niccolò vescovo di Butrintò e fra Bernardo di Montepulciano, entrambi dell’ordine dei predicatori. Di Pavia il re dei romani si recò a Genova; quivi Branca Doria, che vi tenea la somma delle cose, il ricevè a grandissimi onori. Con Arrigo VII rientrarono i Fieschi nella cittá, che da piú di anni quaranta n’erano stati esiliati. Rientrarono gli altri fuorusciti: lieto presagio, per cui gli animi degli italiani giá disponevansi a generale concordia. In mezzo a cotali feste, giunse in Genova l’annunzio della morte di Alboino Scaligero, la quale costrinse Cane Grande al ritorno. Ingloriosi giorni trasse Alboino, e la pochezza dell’animo suo fu notata dall’Alighieri: se la nobiltá, questi dicea (Convito), consistesse negli onori e nella dominazione, Alboino della Scala sarebbe anco piú nobile che Guido di Castello da Reggio! Un motto così pungente chiarisce l’error di coloro, che questo [p. 79 modifica] Scaligero si dispregiato da Dante il credono quel gran lombardo, cui per tante virtú e per insigni benefizi ricevuti onorò con magnifico elogio il poeta, e del quale sarebbe stato l’Alighieri o vile adulatore nei versi o detrattore ingratissimo nelle prose.