Del veltro allegorico di Dante/XII.

XII.

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XI. XIII.

[p. 24 modifica]XII. Arezzo estenuata dai danni di Campaldino, recavasi ai termini estremi: Galasso di Monte Feltro prese a difenderla e vi fu podestá. Nella sua magistratura ei conchiuse una delle meno fragili paci che allor si potesse fra i ghibellini preponderanti e i guelfi giá dissipati un di dal vescovo Guglielmino. E fermò patti onorevoli con Ranieri della Faggiola, non meno che coi suoi figli e fedeli, cioè vassalli (luglio 9): ei fece lo stesso con Cittá di Castello. Così Galasso meritava gli elogi di Dante. In quel tempo erasi dato questi a scrivere la Vita Nuova in onor di Beatrice; pur non ristette dal prendere in [p. 25 modifica] moglie Gemma Donati cugina di messer Corso: feconde nozze, ma non esenti da risse. Nella stagione stessa, verso la fine del 1291, è da credere che cominciasse l’Alighieri a meditare il poema che in principio dettò in lingua latina: ma la sua vita pubblica e il suo frequente adoprare nei consigli ovvero nelle ambascerie della cittá sospesero i suoi studi primieri.

Questo anno fu l’ultimo al giovinetto Alfonso re di Aragona, ed a Rodolfo imperatore: la morte di costui si poco vivo negli affari d’Italia non vi produsse alcun cangiamento: ma quella dell’altro fu cagione di grandi moti nella Sicilia. Dante rimpianse Alfonso, e sembrogli che avess’egli onorato del pari così l’Aragona che la Sicilia (Purg. Ili, 116). Dei due fratelli di Alfonso, Giacomo passò in Aragona e Federigo fu lasciato a governare l’isola, in nome di Giacomo: Federigo, non meno che Uguccione della Faggiola, in quei giorni superba speranza dei ghibellini. Non piú inimico di Arezzo, pei patti giurati a Galasso di Monte Feltro, non lasciava ignorare il Faggiolano ai guelfi ed all’Alighieri quanto egli avrebbe potuto divenir molesto a Firenze: ma giá nasceva colui che sventurati entrambi gli avrebbe dovuto albergare.

Poche famiglie giunsero a tanta grandezza quanto quella di tal fanciullo: di poche i cominciamenti sono piú incerti e peggio descritte le geste. Can Grande della Scala era il fanciullo: suo padre Alberto ebbe inoltre Bartolommeo ed Alboino e Giuseppe illegittimo, ch’ei fe’ abate di San Zeno in Verona. Regnò Alberto dopo Mastino col titolo di podestá e capitano, e l’adulazione abbellí di fausti presagi la culla di Cane. Michele Scoto, vecchio medico ed astrologo di Federigo II, avea profferito brevi ed oscure parole intorno a non si sa quale battaglia ed a quale piccolo Can di Verona. Giovanni Villani conservò queste parole prive affatto di giudizio e di senso (libr. X, cap. 101). Nondimeno valsero queste a persuadere appo il volgo che Cane avrebbe dovuto impadronirsi di Padova. Morí lo Scoto nell’anno istesso in cui Cane venne alla luce: Dante il reputa dei piú valenti fra i mentitori e il caccia in inferno cogl’indovini (Inf. XIX, 122). Mentre questo Cane [p. 26 modifica] profetato era in fasce, Uguccione della Faggiola sottentrava in Arezzo al podestá Galasso di Monte Feltro; e si crebbe in autoritá, che cessò l’antica legge per la quale ad un solo anno limitavasi quell’officio supremo. Uguccione il tenne per quattro anni dal 1292 al 1296. Nel primo della sua signoria fu eletto in Germania imperatore Adolfo di Nassovia. Il Faggiolano perdé nello stesso anno il padre Ranieri, ed ancor si veggono insigni monumenti del cambio che fecero egli e i fratelli Ugo, Ribaldo e Fondazza delle paterne sostanze in Arezzo con le terre di Vertola e di Mansciano; appartenenti al capitolo aretino lá nelle vicinanze di Borgo San Sepolcro e di Cittá di Castello (1293).