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[p. 20 modifica]IX. Così stavano le cose italiane, allorché due prelati, l’arcivescovo di Pisa e il vescovo d’Arezzo, le voltarono al tutto in Toscana. Era quegli Ruggieri degli Ubaldini figlio di Ubaldin della Pila, e questi Guglielmino figliuolo di Ubertino dei Pazzi. Combattevano Arezzo in quella stagione Ranieri ed Uguccione della Faggiola, collegati con Cittá di Castello: in mezzo a quei turbamenti Guglielmino vescovo, seguito dai poderosi Tarlati di Pietramala, eccitò a romore il popolo, e posto in rotta i guelfi si fe’ signore della cittá. Ei la ridusse a parte d’imperio, chiamatovi per capitano di guerra Buonconte di Monte Feltro (1287): e distese così rigorosa mano ai ghibellini di Romagna, che Malatesta di Verrucchio sgombrò di Rimini, cercando salvezza nelle mura di Pesaro. Non minori fatti condusse a termine in Pisa Ruggieri. Superato in battaglia il conte Ugolino (1288), lo rinchiuse nella torre dei Gualandi alle sette vie con due figli Gaddo e Uguccione della Gherardesca, e con tre nipoti Nino ovvero Ugolino detto il Brigata, ed Arrigo, e Anselmuccio (luglio). Dei primi due nipoti si è detto ch’erano figli di Guelfo II, assente allora di Pisa: il terzo era del conte Lotto, prigioniero in Genova. Nino il Brigata ebbe in moglie Capuana, figlia del bolognese Ranieri conte di Pánico; e da questa Matteo e Beatrice. Di Arrigo nacque Guelfuccio III: Anselmuccio avea sposato la figlia di Guido, signor di Caprona.

L’arcivescovo, gridato podestá per cinque mesi, tenne l’officio per mezzo del suo vicario messer Buonaccorso Gubetta di Ripafratta; ei lo rassegnò (1289), compiuto il termine stabilito, a messer Gualtieri di Brunforte: questi lo cedé a Guido di Monte Feltro, al quale i pisani concederono la dittatura suprema. Non appena di Asti Guido Feltrio fu giunto in Pisa, [p. 21 modifica] che il conte Ugolino e la sua famiglia, prigionieri da nove mesi, perirono di fame nella torre; misero esempio di trascorrevol fortuna (marzo 12). Guelfuccio III di Arrigo fu serbato in vita ed a lunga cattivitá; Capuana di Pánico fuggi a Bologna coi teneri pargoletti Matteo e Beatrice; le altre linee della casa Gherardesca restarono in Pisa; i conti di esse poscia vi rifiorirono. Da ciò si scorge che la vendetta de’ Pisani, giusta o ingiusta che fosse stata, si restrinse alla famiglia propria del conte Ugolino; che ai fanciulli non fu tolta la vita: e che i tre nipoti del conte venuti meno insieme con esso, innocenti senza dubbio della cessione delle castella, non erano di etá novella, come asserisce il poeta (Inf. XXXIII, 88); ciascuno di essi avea moglie. Così vinta dai bisogni della poesia, tacque in parte la storia, e nocquero al vero i piú bei versi che uomo scrisse giammai; al modo stesso un romanzo (Saint Réal) ed una tragedia (Alfieri) ci han fatto credere che Filippo II di Spagna, il quale nel suo anno trigesimo terzo sposava Isabella di Francia, potesse averla rapita giá vecchio a suo figlio don Carlo non ancora nel tempo di quelle nozze pervenuto al tredicesimo dell’etá sua.

Unico fra i coetanei Dante accusò Ruggieri di aver dato l’émpio consiglio del vietare il cibo all’infelice conte Ugolino: ma niuno degli storici contemporanei, guelfi o ghibellini che fossero, aggrava di ciò l’arcivescovo: tutti affermano che l’opra fu dei pisani: un solo disse il vero, ch’ella fu di Guido da Monte Feltro in cui stava il tutto del reggimento. L’arcivescovo non era pisano, sì del Mugello: quando era podestá poteva uccidere il conte Ugolino e nol volle: non altrimenti che il vescovo di Arezzo, potea tentare di ritenere il dominio e nol fece. Se Ruggieri tradí alcuno, tradí non altri che il signor di patria non sua; pure fra i traditori della patria si scorge l’arcivescovo nell’Antenora dell’Alighieri, cui seguitò senza piú l’innumerabile gente degl’interpreti e degli spositori. E quantunque Niccolò IV, nuovo pontefice successore di Onorio IV, avesse chiamato l’arcivescovo in Roma perché si scolpasse della morte del conte, tuttavia si sa che da ciò non provenne alcuna condanna o censura.