Del riordinamento amministrativo del Regno (Carpi)/VII
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La più parte degli scrittori più recenti che trattarono l’arduo problema delle istituzioni economico-amministrative dimostrarono grande sollecitudine per le classi diseredate, per le classi lavoratrici, pei proletari in fine che popolano le città e le campagne. Trattandosi d’istituzioni che debbono avere uno scopo determinato ed un carattere sociale, non si vorrebbero vederle fredde ed impassibili alle sofferenze delle moltitudini, rimettendo del tutto la provvidenza sociale nella pietà degl’individui. Quindi si fecero severi studi allo scopo di venire, nelle istituzioni comunitative, in aiuto delle sofferenze dei proletari e dei meno agiati, sottraendoli all’ignoranza, ai capricci della fortuna, alla volubilità o all’egoismo della compassione privata. E bene a ragione pensarono di provvedervi, mentre l’abbandono e l’isolamento formino la situazione più straziante per ogni essere umano.
Toqueville1 accenna in questo proposito come il legislatore americano si fidi poco sulla onestà e sulla rettitudine umana.
Romagnosi invece diffida dell’ambizione umana e fa supremo fondamento, nell’attrito degli interessi sociali, sull’onore degl’individui, onore che pone a continui cimenti di venire meno, per obbligare l’uomo ad essere sempre benevolo ed integro.
Il legislatore americano ad onta della grande libertà che domina in quelle regioni fortunate, obbliga per conseguenza i Comuni a provvedimenti pietosi a benefizio delle classi diseredate e sofferenti.
Romagnosi, coi suoi ingegnosi espedienti a compensazione, si ripromette come risultamento spontaneo dell’organismo costituzionale, posto abilmente in azione dall’elemento morale di cui sopra è parola, il maggior benessere d’ogni classe del civile consorzio.
Leopoldo Galeotti2 preoccupato dallo stesso pensiero ed educato all’affettuosa scuola del Sismondi per ciò che risguarda le classi più umili della società, suggerisce un rimedio che ha sua base sul diritto che ha ogni uomo di essere ben governato e di aver parte nel governo di sè stesso, ma che, a mio avviso, sarebbe più atto ad agitare le passioni dei proletari che a prestarsi a sollevarne le sofferenze ed i legittimi bisogni. Egli proporrebbe cioè di dare ai braccianti ed ai giornalieri riuniti in corporazioni il diritto di adunarsi collegialmente per scegliere liberamente nel proprio seno, o fuori, deputati che li rappresentassero al Comune.
In quanto a me inclinerei senza reticenze ai partiti diretti e positivi, tenendo per fermo essere obbligo della società civile il provvedere, sin dove sia dato di farlo, in complemento della beneficenza privata, all’alleviamento dei dolori e dei patimenti immeritati, non che all’educazione ed all’istruzione tecnica delle classi povere e lavoratrici.
Se l’antico ordine di cose, io diceva nel mio libro sul credito e sulle Banche, aveva le maestranze che soccorrevano tribolando l’operaio, i conventi che sfamavano le turbe facendole ignave e scioperate, i castelli che prodigavano oro e protezioni per ignobili fini, conviene che il nuovo ordine di cose non solo porga adito in svariati modi, senza menomare la dignità e la responsabilità personale, alle classi lavoratrici di provvedere a sè stesse coll’ampio e libero sviluppo della propria forza, ma che si porga altresì soccorrevole mano quasi ad ogni maniera d’incolpevole infortunio.
L’onorevole mio amico Audinot nel suo opuscolo — Due mesi di sessione parlamentare — accenna eziandio all’applicazione di riforme economiche radicalmente ispirate dalla libertà onde il benessere sociale possa più universalmente svilupparsi ed estendersi, e i grandi problemi sociali abbiano naturale e legittima soluzione dall’aumento della produzione e dal buon mercato dei prodotti; belli ed affettuosi pensieri: ma il modo del problema sociale non sta solo in quei termini; sta specialmente nell’ardua quistione dei salari, nella distribuzione delle ricchezze, nell’educazione e nell’istruzione tecnica gratuita, e soprattutto nella soluzione del difficile quesito di atteggiare l’ordinamento del consorzio civile in guisa che ogni dolore abbia un conforto, ogni sventura un sollievo, ogni affanno un consiglio. Questi sono i desiderii, queste le aspirazioni, queste le domande delle moltitudini d’oggidì che si manifestano in mille modi, ora supplichevoli, ora minacciosi, non appena un popolo si renda libero dalle antiche catene. Desiderii, aspirazioni e domande che vanno prevenute acciò ogni mutazione nel progresso si traduca per le masse, come ben dice l’Audinot, in fatti materiali, visibili nell’esperienza della vita quotidiana.
Veggasi adunque, nello studiare la riforma municipale, quali possano essere i provvedimenti di ordine generale da raccomandarsi, o da imporsi, ai municipii a favore delle classi meno favorite dalla fortuna. Oltre alla buona amministrazione delle pie fondazioni di antica origine, dovrebbero i municipii iniziare e prestar mano allo sviluppo degli Asili Infantili, delle società di mutuo soccorso, dei Ricoveri pei bimbi lattanti, delle Casse di Risparmio, e di tutte quelle istituzioni che nell’operare un gran bene non umiliano e non isnervano coloro che vi fanno ricorso; fra le spese obbligatorie potrebbersi imporre ai Comuni, oltre quelle per le scuole primarie d’ambo i sessi, quelle pel medico, per l’allevatrice; ed alle provincie quelle per le scuole tecniche! Sarebbe temerità la mia voler suggerire nuove sociali provvisioni a benefizio delle classi lavoratrici, ma tuttavolta non ommetterò dall’accennare come si potrebbero interessare perentoriamente i Comuni a concorrere per un dieci per cento in aumento di tutti i nuovi legati pii, e ad offrire i locali a proprie spese per date istituzioni che sorgessero per impulso spontaneo della beneficenza privata. Queste ed altre idee svilupperò in altro lavoro senza nessuna pretesa di cogliere nel segno.
Incominciate, concluderò in questo particolare, per dare alle classi più umili della società,
educazione e benessere materiale, legatele per tal mezzo agl’interessi, alla potenza ed alla grandezza della nazione, e poi allargate, anche in loro favore, grado grado i diritti politici, che ve ne troverete soddisfatti. In caso diverso non saprei ottemperare nemmeno al pure pericoloso espediente suggerito dal Galeotti, consentaneo alle idee del Sismondi, di dare cioè una rappresentanza speciale ai proletari nei Consigli municipali, giovando riflettere in proposito alle seguenti sensate parole di Molroguier3 «Quand le droit politique à fait partout une irruption complét, que le pays en est saturé, QU’AUCUNE CLASSE n’en a plus à desirer, sur quel terrain combattront les partis? Que demandera la polilique du progrés, quand le progrés sera à son dernier terme? Quelles esperance jettera-t-elle dans les masses pour en fair son point d’appui? Cette situation politique toute nouvelle presente des dangers qu’il faut signaler aux meditations des hommes d’etat ....... Elle pourrait oboutir à la guerre du pauvre contre le riche!» Credo che l’evitare con rara abilità tale scoglio sia stato il gran segreto della civiltà inglese. Credo che l’urtare a visiera calata in quello stesso scoglio sia stato il grande errore della civiltà francese. Credo in fine che nel minare lo scoglio, coll’educazione e col benessere delle masse, stia il gran problema della civiltà nostra.