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La paura del male è una delle cagioni primarie della perdita del coraggio. È troppo naturale che si tema quello che intenta di levarci la vita, o anco semplicemente di tormentare la nostra esistenza. In generale la passione della paura è fatale. Dice il celebre Van-Svvieten1 che la paura diminuisce la forza del [p. 12 modifica]cuore, indebolisce il polso, ed allora lo rende irregolare e intermittente. Il Sig. Falconer2 aggiunge, che sotto la paura la circolazione alle volte si allenta talmente che il sangue persino non isgorga da un vaso aperto. La pallidezza, i tremori, gli svenimenti sono i di lei sintomi ordinarj. Le emorragie si arrestano, e si arrestano le naturali secrezioni come quelle de’ mestrui, del latte, della traspirazione. Quest’ultima però talvolta anzi s’aumenta, ma il sudore che ne proviene è freddo, come succede nelle sincopi, e nelle grandi debolezze. La diarrea, l’itterizia, la clorosi, le ostruzioni, gli scirri, le gangrene, sono altre conseguenze della paura; come lo sono la perdita delle forze digestive, l’insorgenza delle passioni flattuose, e degli altri guai ventricolari e intestinali, il tremolar delle [p. 13 modifica]membra, la melancolia, la follia, la paralisia, l’apoplessia, l’epilessia, la morte subitanea ec.

Se tanti e tali sconcerti occasiona la paura negli uomini altronde sani e robusti, nè v’ha Autore che non gliene addossi de’ numerosi e de’ gravi, quanto più dannosa, o almeno più atta ad aggravare le malattie, non sarà ella negli uomini infermi che di soverchio temano la lor malattia? Notò bene3 il renomatissimo Buchan „che non si può essere biasimato nel cercare di conservare la propria vita; ma se questo desiderio di conservazione è portato troppo lungi, spesso conduce a eccessivi timori e alla perdita della vita medesima„. Il timore e lo spavento (prosiegue egli) abbattono lo spirito, nè solamente danno origine a de’ mali, ma spesso ancora rendono [p. 14 modifica]codesti mali fatali, che trionfano poi del coraggio il più intrepido.

Siffattamente valida è giudicata la paura a produrre de’ mali che taluni hanno rimarcato succeder talvolta infatti quel male medesimo che si teme. I Giornali Medici ci portano degli esempj di morti accadute per que’ malanni de’ quali si era da tempo in timore, o verso a’ quali, sia un presagio avventurato, sia una fattucchieria, un’ impostura, sia una costituzione epidemica, avea ingerito del terrore.

Gl’ipocondriaci ce ne offrono le più strane prove; o almeno se realmente non cadono essi ne’ mali temuti, agrravano per altro in sì fatta maniera la loro immaginazione, che vie più stannosi peggio ne’ loro incomodi; così che li vedete correre quasi forsennati a cercare del Medico, perchè loro pare d’essere incappati in quel malore, che è stato ad essi dipinto o minacciato; e poco manca che ogni [p. 15 modifica]giorno non accusino una nuova malattia a norma che l’hanno intesa o in altri veduta. Quindi è che con tale paura, quand’anche di fatto non ammalino del tal male, sempre maggiormente sprofondano in que’ guai che sono il loro notturno e diurno tormento.

Altre prove le abbiamo nelle donne incinte e partorienti. Il prefato Buchan4 le accenna con istile di buona pratica, sebben forse parrebbe che troppo lo carichi. „La maggior parte di quelle donne (egli scrisse) che sono morte in questo stato (cioè di gravidanza o di parto) erano state colte dall’idea di questa specie di morte, lungo tempo avanti ch’essa fosse sopravvenuta; e v’ha gran ragione di credere che cotesta impressione sia stata sovente la sola cagione della loro morte.”

[p. 16 modifica]„La stoltezza che hanno parecchie di non parlare del puerperio, se non per rappresentarlo accompagnato da dolore e da pericolo, è nocevolissima alle femmine. Poche di esse periscono nel travaglio, sebbene un assai gran numero ne muoja nel fare il parto; ciò che può spiegarsi nella seguente maniera. Una femmina dopo di aver partorito trovandosi debole e sfinita credesi tantosto nel più grande pericolo; e questa paura è tale che di spesso ella sopprime i ripurghi necessarj, da cui dipende il suo ristabilimento. Così è che le femmine sono soventemente la vittima della loro immaginazione, laddove non correrebbero rischio veruno se non ne avessero siffatta apprensione. Accade di raro che in una grande città alla morte di due o tre femmine che sono nel parto, non tenga dietro quella di altre parecchie. Ove una femmina [p. 17 modifica]conoscente di quelle prime sia incinta, ella teme subitamente la medesima sorte, e questo accidente diviene epidemico per la sola forza dell’immaginazione.”

„Sprezzino dunque le gravide ogni timore, e schivino a qualsisia costo di trovarsi in compagnia di pettegole, di ciarliere, che non si ristanno mai di ripetere a’ loro orecchi gli accidenti funesti successi all’altre. Vuolsi in generale rimuovere colla maggior sollecitudine tutto ciò che può scompigliare una femmina, sia incinta, sia nel parto.”

„La maggior parte delle femmine che muojon di parto, devono siffatto accidente al costume antico, ancora in uso nella maggior parte delle provincie dell’Inghilterra, di suonare tutte le campane d’una parrocchia per cadauna che muore. Quelle che si credono [p. 18 modifica]in pericolo, ordinariamente sono curiosissime; e se vengano a risapere, che si suona per una persona morta in quello stato medesimo ove esse si trovano, quali funeste conseguenze non devono mai risultarne? Per qualunque si sia maniera le femmine incinte e di parto apprendano la morte delle loro conoscenti, esse sono sempre talmente disposte a temere per sè lo stesso successo, che non puossi, se non colla maggior difficoltà, persuaderle al contrario.”

„L’uso del suonar le campane non è solamente pernicioso alle femmine in parto; lo è parimenti in molte altre circostanze. Nelle febbri maligne, nelquali tanto è difficile di sostenere il coraggio dell’infermo, qual effetto non produrrà una scampanata funebre, da cui egli è stordito cinque o sei volte per giorno? È indubitabile che la sua immaginazione colpita gli farà credere [p. 19 modifica]che coloro pei quali suonasi, siano morti dello stesso male, di cui ei si trova aggravato. Questo timore avrà più di forza per iscoraggiarlo, di quello ne avranno tutti i cordiali della medicina per guarirlo.„

Il virtuoso traduttore e commentatore di Buchan soggiunge giudiziosamente a questo passo: „se tanta impressione di terrore fa sugli infermi il suonar delle campane, qual ne farà la veduta de’ cadaveri, e delle tante formalità mortuarie, solite praticarsi negli Spedali?„ Verissimo è tutto ciò; e il terrore che va spaziando in que’ sacri ricetti, mena sempre seco il danno maggiore degli ammalati colà ricovrati. La umanità ne freme; ma alle volte a’ pregiudizj non sono sempre pronti i ripari, o non sono sempre eseguibili, e non solamente negli Spedali, ma ancora per ogni dove, malgrado che „la premura de’ funerali, la [p. 20 modifica]condizione della sepoltura, la pompa delle esequie, servano talora più al trastullo de’ vivi, che al soccorso de’ morti„ come avvertì Sant’Agostino5.

Continua Buchan a dire, che se non si possono abolire tali cerimonie, si cerchi per lo meno o di tener lontani i nostri infermi da esse, o di distrarneli, o di contrapporci dei nuovi pensieri, onde sien essi infermi manco suscettibili dei mali delle medesime. La seducente eloquenza e destrezza del Medico può in tali incontri molto bene moderare disordini tali, e coll’ajuto del coraggio anzi dissiparli, insieme a tanti altri, che troppo concorrono a inquietare e a disanimare i miseri ammalati, de’ quali un buon numero va a male appunto per sì fatte cagioni, che benchè estrinseche, pur hanno gran forza ad ingrandire le cagioni del male.

[p. 21 modifica]So che pretendesi che la paura non sia sempre fatale, volendosi anzi che col mezzo di essa si abbiano risanati de’ malori non superabili dall'arte. I muti che hanno parlato; i sordi che han ricuperato l’udito; i paralitici che hanno camminato; gli ammalati di male infiammatorio che hanno criticamente sudato; sono i fasti attribuiti alla paura. Ma son questi forse prodigj da annoverarsi tra que’ che si raccontano effettuati dai veleni, dalle magiche forze, dalle strane medicine. Sebbene analizzandosi a dovere cotali guarigioni ascritte alla paura, non vi si intravede egli, che è il coraggio, che appunto dall'ultimo momento della passione della paura spunta quasi e risorge in soccorso dell’individuo ridotto al punto di dover soccombere? L’ultimo sforzo è quello che può far nascere la disperazione, o il coraggio. Vuole il famoso Milton che il timore e la speranza vadano [p. 22 modifica]sempre assieme; e da tal coppia ordinariamente si generi il coraggio. Ciò vale a dire, che l’uomo preso dal timore si volge a sperare, e quando conosce che non v’è più luogo alla speranza, nè più egli può sottostare alla sua pena, ei si getta al partito violento che è del maggiore sforzo; e da qui vedesi chiaro che dà vita a tutto quel coraggio, di cui egli è mai capace. Nell’uomo di mondo un tale coraggio fa o un grande eroe, o un malfattore; nell’uomo infermo non altro fa che scuotere validamente i nervi, commovere in buona guisa gli umori, e preparare il primo stadio della crise, il quale è poi conseguitato anco dal secondo, cioè dal salutifero.

Note

  1. Vol. I, pag. m. 148, e Vol. III, pag. 271
  2. De l’influence ec. pag. 39.
  3. Mèd. domest. Vol. I, part. I, cap. 10 §.2.
  4. Ivi.
  5. De Civit. Dei lib. I, cap. 12.