Dei delitti e delle pene (1821)/XXXIX
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§ XXXIX.
Dello spirito di famiglia.
Queste funeste ed autorizzate ingiustizie furono approvate dagli uomini anche i più illuminati, ed esercitate dalle repubbliche più libere, per aver considerato piuttosto la società come un’unione di famiglie, che come un’unione di uomini. Vi siano cento mila uomini, o sia venti mila famiglie, ciascuna delle quali è composta di cinque persone, compresovi il capo che la rappresenta: se l’associazione è fatta per le famiglie, vi saranno venti mila uomini, e ottanta mila schiavi; se l’associazione è di uomini, vi saranno cento mila cittadini, e nessuno schiavo. Nel primo caso vi sarà una repubblica, e venti mila piccole monarchie che la compongono; nel secondo, lo spirito repubblicano non solo spirerà nelle piazze e nelle adunanze della nazione, ma anche nelle domestiche mura, dove sta gran parte della felicità o della miseria degli uomini. Nel primo caso, come le leggi ed i costumi sono l’effetto dei sentimenti abituali dei membri della repubblica, o sia dei capi della famiglia, lo spirito monarchico s’introdurrà a poco a poco nella repubblica medesima, e i di lui effetti saranno frenati soltanto dagl’interessi opposti di ciascuno, ma non già da un sentimento spirante libertà ed uguaglianza. Lo spirito di famiglia è uno spirito di dettaglio, e limitato a piccoli fatti. Lo spirito regolatore delle repubbliche, padrone dei principii generali, vede i fatti, e li condensa nelle classi principali ed importanti al bene della maggior parte. Nella repubblica di famiglie i figli rimangono nella potestà del capo fin che vive, e sono costretti ad aspettare dalla di lui morte una esistenza dipendente dalle sole leggi. Avvezzi a piegare ed a temere nell’età più verde e più vigorosa, quando i sentimenti sono meno modificati da quel timore di esperienza che chiamasi moderazione, come resisteranno essi agli ostacoli che il vizio sempre oppone alla virtù nella languida e cadente età, in cui anche la disperazione di vederne i frutti si oppone ai vigorosi cambiamenti?
Quando la repubblica è di uomini, la famiglia non è una subordinazione di comando, ma di contratto; e i figli, quando l’età li trae dalla dipendenza di natura, che è quella della debolezza, e del bisogno di educazione e di difesa, diventano liberi membri della città, e si assoggettano al capo di famiglia per parteciparne i vantaggi, come gli uomini liberi nella grande società. Nel primo caso i figli, cioè la più gran parte e la più utile della nazione, sono alla discrezione dei padri: nel secondo, non sussiste altro legame comandato, che quel sacro ed inviolabile di somministrarci reciprocamente i necessari soccorsi, e quello della gratitudine per li beneficii ricevuti, il quale non è tanto distrutto dalla malizia del cuore umano, quanto da una mal intesa soggezione voluta dalle leggi.
Tali contraddizioni fra le leggi di famiglia, e le fondamentali della repubblica sono una feconda sorgente di altre contraddizioni fra la morale domestica e la pubblica; e però fanno nascere un perpetuo conflitto nell’animo di ciascun uomo. La prima inspira soggezione e timore, la seconda coraggio e libertà: quella insegna a ristringere la beneficenza ad un piccol numero di persone senza spontanea scelta; questa a stenderla ad ogni classe di uomini: quella comanda un continuo sacrifìcio di se stesso a un idolo vano, che si chiama bene di famiglia, che spesse volte non è il bene di alcuno che la compone; questa insegna di servire ai propri vantaggi, senza offendere le leggi, o eccita ad immolarsi alla patria col premio del fanatismo che previene l’azione. Tali contrasti fanno che gli uomini si sdegnino a seguire la virtù, che trovano inviluppata e confusa, e in quella lontananza che nasce dalla oscurità degli oggetti sì fisici che morali. Quante volte un uomo, rivolgendosi alle sue azioni passate, resta attonito di ritrovarsi malonesto! A misura che la società si moltiplica, ciascun membro diviene più piccola parte del tutto, e il sentimento repubblicano si sminuisce proporzionalmente, se cura non è delle leggi di rinforzarlo. Le società hanno, come i corpi umani, i loro limiti circonscritti, al di là de’ quali crescendo, l’economia ne è necessariamente disturbata. Sembra che la massa di uno stato debba essere in ragione inversa della sensibilità di chi lo compone; altrimenti crescendo l’una e l’altra, le buone leggi troverebbono nel prevenire i delitti un ostacolo nel bene medesimo che hanno prodotto. Una repubblica troppo vasta non si salva dal dispotismo, che col sottodividersi, e unirsi in tante repubbliche federative. Ma come ottener questo? Da un dittatore dispotico che abbia il coraggio di Silla, e tanto genio di edificare, quant’egli n’ebbe per distruggere. Un tal uomo, se sarà ambizioso, la gloria di tutti i secoli lo aspetta; se sarà filosofo, le benedizioni de’ suoi cittadini lo consoleranno della perdita dell’autorità, quando pure non divenisse indifferente alla loro ingratitudine. A misura che i sentimenti che ci uniscono alla nazione s’indeboliscono, si rinforzano i sentimenti per gli oggetti che ne circondano; e però sotto il dispotismo più forte, le amicizie sono più durevoli, e le virtù sempre mediocri di famiglia sono le più comuni, o piuttosto le sole. Da ciò può ciascuno vedere quanto fossero limitate le viste della più parte dei legislatori.