Dei conduttori per preservare gli edifizj da' fulmini/Prefazione
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AI CORTESI LETTORI
In fatti la disgrazia di Brescia fece profonda impressione in tutta Europa. La Nazione Inglese, quantunque avesse familiari i Conduttori, commossa fu spezialmente da tal nuova per determinarsi ad applicargli alle Polveriere di Purfléet. L’Imperatrice Regina in seguito, per prevenir queste disgrazie inseparabili dall’esplosione de’ Magazzini, ha comandato di porre Conduttori sopra tutti quelli de’ contorni della Capitale, e ha dato ordine per farli erigere successivamente in tutti gli Stati Ereditari, non solo sopra i Magazzini, ma anche sopra le Torri delle Chiese, e sopra tutti gli edifizj destinati a servire di depositi a materie combustibili. Il Serenissimo Gran-Duca aveva molto avanti prevenuta questa salutar providenza per li suoi magazzini di Toscana. Ultimamente l’Augusto Senato Veneto con suo Decreto 9. Maggio 1778. ha stabilito di applicare i Conduttori ai magazzini tutti della Dominante e dello Stato, tanto nella Terra-ferma, che oltre mare.
Esempj così luminosi dovrebbero ormai mover non solo i privati a procurare un tal presidio per le abitazioni loro, ma spezialmente i Presidenti e Capi delle Comunità, o che abbiano inspezione sopra edifizj grandi, ed esposti, in particolare per i luoghi delle pubbliche radunanze, quali sono i Teatri, e le Chiese, queste tanto più soggette ai colpi di fulmine, quanto che coi Campanili, e colle Croci, ed altri metalli interrotti, porgono incentivo ai fulmini; il che pur troppo è frequente, con uccisione di persone, e con altre luttuose conseguenze; poichè convien pensare, che una sola saetta che metta fuoco alla guglia di un Campanile, come abbiamo veduto più d’una volta qui in Padova, cadendo i pezzi infocati sopra altre fabbriche, soffiando vento, è capace di portar l’incendio a un intiera contrada2.
Se però da una parte tanto importante è la massima di adottare un preservativo così maraviglioso, dall’altra è ben dovere dei Fisici lo studiare di render più sicura l’operazione di queste macchine per l’effetto promesso ed aspettato; tanto più che, se vi sono esperienze felici e dimostrative di questa operazione, sono altresì accaduti de’ casi capaci di renderla in qualche modo sospetta; o che piuttosto impegnano a cercare le maggiori cautele nella struttura e l’applicazione delle macchine medesime.
Questo è quello che fu sempre il mio scopo da che maneggio queste materie, e che tuttavia è mio intento di procurare, quanto il permettono gli scarsi miei lumi, riproducendo colla presente stampa le cose da me pubblicate in passato, con dei rischiaramenti ed un’Appendice per le cose posteriori.
Imperciocchè, di tempo in tempo, e di mano in mano, che scriveva queste cose, ho procurato di dare quello che mi pareva allora più ragionevole discorrendo sopra le dottrine e teorie correnti. Ma perchè gli studj, le osservazioni, l’esperienze, e il tempo istesso, illuminano gli uomini, così m’è occorso nei discorsi posteriori modificare talor qualche cosa avanzata negli Scritti precedenti, salvo sempre il fondo e la sostanza del sistema. Per esempio, nel Saggio Meteorologico 1770., e nell’Informazione al popolo 1772. ho insistito sull’isolamento de’ Conduttori; si è considerato dopo, che questa cautela sebbene utile non era punto necessaria, anzi era superflua, fuorchè per li magazzini da polvere, e per gli osservatorj elettrici. La maggior mutazione che ho fatta, è quella d’aver in certo modo soppresse le Punte esterne, colla ferma opinione che basti, e talor sia forse più cauto, un semplice Emissario, quale ho eseguito per il Campanile di S. Marco in Venezia. E perchè sono occorsi dopo dei fatti favorevoli a questo sistema, mi riservo a dichiararlo meglio nell’indicata Appendice.
Alle precedenti Memorie ho fatto di tratto in tratto delle annotazioni per illustrare qualche punto secondo il bisogno; lusingandomi in fine che quando uno abbia letto la ferie di questi discorsi, poco abbia a desiderare di più, tanto per la teoria che per la pratica de’ Conduttori sopra ogni maniera di edifizj; intendo fin’a quanto si estendono le scoperte de’ Fisici fino al giorno d’oggi.
Note
- ↑ [p. 12 modifica]Può nascer dubbio se gli antichi avessero nozione dell’elettricismo atmosferico, e possedessero una specie di arte di evocare i fulmini con artifizj simili al nostro. Questa quistione non poteva esser mossa se non dopo la scoperta del Franklino.
Non parlerò di Salmoneo, e di Capaneo, che tentando d’imitare i fulmini furono da Giove essi stessi fulminati; ove si potrebbe dire, che furono così poco esperti dell’arte, come il Professore di Pietroburgo Sig. Richmanno; potendo parere più tosto che tentassero questo colla polvere da cannone se non che la tradizione poetica specifica il rumore de’ loro fulmini, che fosse facendo correre delle carrette sopra ponti di bronzo:
Demens, qui nimbos, et non imitabile fulmen
Ære et cornipedum cursu simulabat equorum.Qualche indizio ne potrebbe dare la figura del fulmine trifulco in mano di Giove, essendo questa la più adattata figura che si creda in oggi potersi dare alle Punte de’ Conduttori.
Ma abbiamo de’ fatti più chiari ed analoghi al sistema de’ nostri Conduttori elettrici. Bisogna vedere il recente traduttore e comentatore Francese di Plinio Lib. II. cap. 53., che ha per titolo De fulminibus evocandis. Dice l’Istorico, trovarsi scritto negli Annali, che per via di certi sacrifizj e di certe formole si può sforzare o sia ottenere i fulmini; che per antica tradizione per questo mezzo si era ottenuto un fulmine tale in Bolsena contro di un mostro che saccheggiava quel Paese; che tal’arte era posseduta dagli Etruschi; che Persenna loro Re la esercitava; che Numa n’era peritissimo; ma che Tullo Ostilio, malamente tentandola, restò fulminato; che da quest’arte è venuto il Giove Elicio. E sopra il caso di Tullo Ostilio si aggiunge il testimonio ancora più grave di Livio, dicendo, che questo Re avendo trovato nei portafogli di Numa certi riti di Giove Elicio, chiusesi in casa per eseguirli, ma che non avendo ben osservata la formula, esso colla casa restò consumato dal fulmine.
Ecco, dice il Comentatore, manifestamente il Sig. Richmanno, che disposto malamente il suo apparato elettrico resta ucciso dal fulmine. Evocare i fulmini, dice, altro non era che far scendere il fulmine dalle nuvole, come si pratica ora colle punte dei Conduttori (non elettrizzando la nuvola, come replicatamente si esprime il Comentatore, ma all’opposto elettrizzando colla nuvola la catena). Giove non è altro se non che il fulmine personificato, e Giove Elicio non altro che Giove elettrico.
A questo luogo i dotti Antologisti di Roma (1774. n. xv.) colla solita loro felicità di penna si scagliano contro il Comentatore Francese; nè [p. 13 modifica]vogliono assolutamente, che da nozioni vaghe di fuochi ed altri effetti elettrici che conoscessero gli antichi (nè pur intesi nel senso nostro), o da un passo ambiguo di un Istorico, si possa stabilire una tale opinione.
Forse v’è troppo di decisivo da una parte e dall’altra. Certo non può negarsi, che la congettura del Comentatore Francese sia ingegnosa insieme e felice. Concorre a darle qualche valore, e far sospettare che gli antichi avessero almeno qualche nozione dell’elettricità atmosferica rapporto a fulmini, la credenza in cui erano, che l’albero dell’alloro fosse immune dai fulmini, e perciò consacrato a Giove; credenza del tutto fondata nella fisica dell’elettricità, essendo l’alloro albero resinoso, e però, come altrove ho rimarcato, di natura ripugnante al fulmine, come sono tutti gli altri alberi resinosi, l’ulivo, il pece, il ciliegio ec.. Anzi a proposito dell’ulivo può avvalorar tal’opinione l’uso antico ricevuto tra’ Cristiani di accenderlo ne’ temporali, di porne le rame sui Campanili, sulle case, su gli alberi, su i confini de’ campi, sui letti; è vero, che più di tutto vale la benedizione, e che la divozione ora è il solo oggetto che move il popolo; ma niente ripugna, che, essendo questo costume nel popolo, la Chiesa l’abbia adottato e consacrato colle ceremonie.
Una tal’opinione oscura, o tradizione, sembra venuta da qualche antico popolo distrutto, che possedesse questa, ed altre scienze in grado eminente: è credibile, che sia stata in antichi e ignoti tempi, e forse più volte, qualche nazione, o età, più colta, più illuminata, per le arti e per le scienze, che la nostra. Tante arti perdute, e tante tradizioni, che si credevano favole, e che in oggi si verificano, come l’effetto della Torpedine, l’arte di calmar l’onde coll’olio, ed altre che non ho presenti, lo insinuano; e tale può esser stata l’arte di evocar i fulmini.
Il Sig. Bailli, nella sua recente istoria dell’Astronomia antica, con grande ingegno erudizione e probabilità prova, esservi stata appresso un’antica nazione, anteriore agli Egizi, a’ Caldei, agl’Indiani, a’ Chinesi, un’Astronomia, almeno tanto estesa e perfetta che la nostra. Poichè ciascuna delle nominate Nazioni teneva parte qualche dogma sublime di questa Scienza consumata, come il sistema del mondo, il corso delle comete, dei Cicli maravigliosi, che ripugnano all’angustia e rozzezza delle altre parti dell’Astronomia loro. Dunque queste non potevano esser che reliquie e tradizioni staccate da una Scienza in sommo grado posseduta tutta insieme da una nazione, o compagnia d’Uomini illuminatissimi, dispersa poi da qualcheduna di quelle gran vicende che arrivano sulla terra.
Lo stesso deve credersi della Fisica; e deve credersi che avessero non solo delle sublimi e giuste speculazioni, ma che facessero osservazioni ed esperienze, e possedessero degl’istromenti forse superiori ai nostri. Questo è certamente vero in Meteorologia: tante offervazioni, e regole, in fatto di stagioni e di tempi, tramandate a noi da Teofrasto, da Arato, da Plinio, e da altri, si verificano al giorno d’oggi quasi appuntino, per quanto permette [p. 14 modifica]l’infanzia delle nostre osservazioni; ma suppongono negli antichi un’estensione di osservazioni, e di studj, che appena possiamo figurarci.
- ↑ [p. 14 modifica]26. Maggio 1778. ore 22. Italiane: mentre dettavo questo paragrafo faceva un grosso temporale con dirotta pioggia, tuoni, baleni, e faette. Io me ne stavo, seguendo il precetto del Franklino, sedendo in una sedia in mezzo la stanza con un piede sopra l’altro dettando, come dissi, queste cose, e pensando insieme che si potrebbero verificare sul momento. In fatti tra l’altre saette cadute distanti, come parvemi dall’intervallo del lampo al tuono, una cadde in contrada di S. Leonardo nella casa de’ Nobili Signori Uberti, nell’angolo di un’ala che sporge verso tramontana, ove già un anno o due questo stesso angolo era stato colpito da saetta. Questa volta vi accese il fuoco, ed arse del fieno; ma presto fu estinto, perchè il soccorso fu pronto: se era di notte, probabilmente ardeva tutta la casa e tutta quell’isola di case. Rilevo poi con dolore una maggior disgrazia di fulmine, che in quell’ora ha incenerito una masseria dell’Eccell.ma Casa Zaguri a S. Siro. senza che siansi salvati se non che a stento i poveri abitanti. Ma di tali disgrazie se ne sente, e scrive ogni settimana dalle gazzette.