Degli edifizii/Prefazione
Questo testo è completo. |
Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
◄ | Degli edifizii | Libro primo | ► |
PREFAZIONE DELL’AUTORE
Nè per pompa di virtù, nè per fidanza di bello scrivere, nè per vanità di mostrarmi conoscitore de’ luoghi, cose che ottimamente so in me non essere, mi sono io accinto a dettare la seguente Storia; ma sivvero per ben altre considerazioni. Meco stesso soventi volte pensai ai moltissimi vantaggi che alle città sogliono derivare dalla Storia, la quale ai posteri trasmette la memoria delle belle opere de’ maggiori: essa gagliardamente resiste alla violenza del tempo, inteso a distruggere la rinomanza degli egregj fatti; grande eccitamento essa presta colle lodi alla virtù di chi la legge; e il vizio insieme co’ suoi rimproveri reprime, e de’ mal disposti la perversità disanima. Per lo che somma cura nostra esser dee di propalare insieme coi loro autori le imprese eccellenti: officio, che a parer mio facilmente prestar può ognuno, che pur s’abbia scarsa ed esitante favella. E v’ha di più ancora; chè colla Storia da essi scritta i sudditi beneficati apertamente comprovano la gratitudine loro verso quelli che di loro ben meritarono; ed anzi in più bella maniera vi corrispondono, perciocchè dove della munificenza de’ loro Principi non
poterono godere che per breve tempo, breve essendo il termine della vita mortale di tutti, immortale rendono la virtù di quelli, facendone passar la memoria ai posteri, molti de’ quali, per questo appunto emulando la gloria de’ passati, traggonsi all’amore delle oneste opere, altronde per timor della infamia guardandosi dalla cattiva strada, siccome conviene. Il perchè poi tutto questo io abbia premesso, vengo ora a dire.
A’ giorni nostri avendo Giustiniano Augusto prese le redini della Repubblica miseramente conquassata, egli a potenza splendidissima la sublimò, cacciatine i Barbari, che da molto tempo ne aveano invase le provincie, siccome partitamente già narrai ne’ libri, che delle avvenute guerre io scrissi. E se Temistocle, figliuolo di Nicocle, udimmo essersi una volta gloriato di sapere come ridurre ad ampiezza cospicua città che pur dianzi fosse piccola; ben più è da dire del nostro Imperadore, che seppe acquistare, e tenere sotto la sua dominazione altri regni: certo essendo che molti di questi, i quali erano in altrui potere quando salì sul trono, egli alla Signoria di Roma aggiunse, e nuove città in assai numero fondò. Oltre di che la religione trovata fluttuante e da varie fazioni agitata, chiusa la via agli errori, potentemente fissò sul saldo fondamento della vera fede; le leggi, pel soverchio numero fatte oscure e contraddittorie, purgò, togliendone ogni inutilità; e concigliandone sapientemente le massime, che prima cozzavano insieme, netto e chiaro e sicuro costituì il diritto. E fece ancora di più: chè spontaneamente perdonò a’ suoi insidiatori; arricchì gli indigenti; e tolti dal cattivo stato, in cui eran caduti, insieme con quella della Repubblica assicurò la felicita della loro vita; e con militari presidii l’Imperio munì, che da ogni parte era aperto ai Barbari; e ne assiepò le frontiere con piazze forti. Adunque io, che negli altri miei libri tali ed altre molte sue cose descrissi, ora intendo far chiara con questi la beneficenza sua nel proposito degli Edifizii da lui eretti. Di Ciro persiano assai ci si è detto come di ottimo re, e presso i suoi popolani tenuto per fondatore principale del regno: ma io non posso ben accertarmi, se veramente egli fosse tale, qual viene predicato da Senofonte di Atene: chè forse l’ingegno dello scrittore alle cose di quel principe aggiunse ornamento, e ne’ colori della eloquenza a larga mano abbondò. So bene che a chi attentamente consideri il regno di Giustiniano, principe nostro, il quale io credo che a buon diritto debba dirsi re per natura, mentre, per usare le parole di Omero, egli si presta padre benignissimo, il regno di Ciro parrà cosa da giuoco. E di ciò farà fede l’imperio di tal modo esteso, che può dirsi, come testè io accennava, ai confini e alla potenza del primo essersene aggiunto un secondo, ed anche di più. Della sua clemenza poi somministreranno ampia prova coloro, i quali chiaramente convinti d’ avere tramate insidie contra la vita di lui, oggi pure non solo e della vita e de’ beni loro godono pacificamente, ma sono nelle più luminose cariche degli eserciti, ed iscritti tra i Consoli.
Ma egli è tempo di venire a parlare, siccome mi proposi, de’ suoi Edifizii, onde i posteri ove la mole ed il gran numero de’ medesimi veggano, non abbiano a dire non essere essi l’opera di un solo uomo, sapendosi che a molti fatti degli antichi, mancanti dell’autorità della Storia, la stessa eccellenza della virtù toglie fede. Intanto conviene, che il discorso faccia capo da quelli che veggonsi in Costantinopoli; giacchè, secondo l’antico detto, quelli che mettono mano ad alcuna opera, debbono principiare dal darle un illustre incominciamento.