Degli edifizii/Libro sesto/Capo IV
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Traduzione dal greco di Giuseppe Compagnoni (1828)
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CAPO IV.
Siegue Lepte la grande; città in addietro ampia e piena di popolo; poscia fatta quasi deserta, e perchè trascurata, coperta dalle sabbie. Il nostro Imperadore vi fece le mura da’ fondamenti, ma in giro assai minore dell’antico, onde per la inutile ampiezza non ricadesse nella già provata calamità, per la facilità di essere presa dai nemici, e per essere esposta alle sabbie mosse dai venti. Per lo che quella parte che le sabbie aveano sepolta, egli abbandonò nello stato, in che era, così che quanto dianzi la sabbia ammucchiata avea coperto, rimane coperto anch’oggi. L’altra parte fu quella, che cinse di fortissime mura; ed ivi un bello e grandioso tempio inalzò alla Madre di Dio; e quattro chiese vi aggiunse; e ristaurò il vecchio palazzo andato in rovina, opera di Severo Augusto, il seniore, il quale essendo nato in Lepte, volle erigervi un monumento della sua fortuna.
E poichè sono venuto a parlare di questa città, non voglio passare sotto silenzio quanto in essa a’ giorni nostri è avvenuto. Era stato assunto Giustiniano all’impero; ma non avea ancora intrapresa la guerra Vandalica, quando i Mauri barbari, detti Leucati, cacciati i Vandali allora dominanti nell’Africa, occupata Lepte la grande, la desolarono pienamente. Non lungi da essa, fermatisi coi loro capi in certa altura, e vedendo splendere un fuoco in mezzo alla città, pensarono che vi fosse entrato il nemico, e prestamente corsero a quella volta. Ma non avendovi trovato nessuno, credettero quello essere un segno d’intervento divino; e ben riflettuto al caso avvisaronsi che Lepte la grande in breve sarebbe stata ripopolata. Nè andò guari che recatosi a quelle parti l’esercito imperiale s’impadronì di Tripoli e di tutta l’Africa, debellati avendo i Vandali e i Mauri. Ma ritorno là d’onde il ragionamento partì.
Giustiniano in questa città fece bagni pubblici, fabbricò da’ fondamenti le mura, ed aggiunse ornamenti e comodi, quanti possono rendere il luogo degno di essere una bella città. I Gadabitani poi, barbari confinanti, che fino a questa età seguite aveano le antiche superstizioni greche, tanto eccitò, che con tutto l’animo si fecero cristiani; e cinta di mura Sabarata, l’adornò di nobilissima chiesa.
In questa estrema regione v’hanno due città, Tacapa, e Girgi, tra le quali è posta la Sirte minore. Ivi ogni giorno vedesi una meraviglia, ed è questa. Il mare stretto dai lidi in quella parte forma un seno lunato, secondo che dissi essere nella Sirte maggiore; e si versa sulla terra più di quanto possa in un giorno percorrere un bravo camminatore. Verso sera poi dà indietro; e lascia in secco il lido, e l’area prima occupata. I naviganti inoltratisi sul continente, che allora ha l’apparenza di mare, durante il giorno, vanno avanti per lunghissimo tratto, siccome è uso: ma quando s’avvicina la notte si preparano a passarla fermi, e provveduti di certi lunghi pali; quando poi sentono il mare disposto a dare indietro, con que’ pali immantinente saltano fuori della nave; e da prima nuotano, poi si fermano sui piedi ove l’acqua non giunge a coprir loro la faccia; e sul suolo o secco, o vicino a divenir tale, le punte di que’ pali ben piantando li alzano, e di questi dall’una e dall’altra parte fanno puntello alla nave, onde così sostenuta stia in bilancia, nè coll’inclinarsi da un lato si rompa. Il giorno appresso di buon mattino il mare torna sulla terra, e vi rinnova le onde e i flutti; e allora la nave s’alza, e i marinai, tolti via que’ pali, navigano di nuovo: nè varia mai la cosa; ma ogni giorno succede la stessa vicenda.