Degli edifizii/Libro primo/Capo VII

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CAPO VII.

Nello stesso seno il tempio di S. Irene. Ivi trovatesi le reliquie de’ SS. quaranta Soldati martiri, Giustiniano è prodigiosamente risanato.


Alle fauci del seno anzidetto è posto il tempio di S. Irene martire, il quale l’Imperadore fece fabbricare con tanta magnificenza, che io confesso di essere incapace a descriverlo. Imperciocchè tanta cura egli mise in far bello quel seno, quasi col mare medesimo gareggiando, che questi varii tempii vi collocò, come altrettante lucentissime gemme aggiunte ad un rotondo monile. Ma poichè è accaduto di far menzione di questo tempio d’Irene, non disdirà narrare ciò che ivi accadde. Giacevano ivi da lungo tempo deposte le ceneri de’ SS. Quaranta, i quali furono romani soldati della dodicesima legione stazionata in Melitene, città dell’Armenia. Scavando gli artefici il suolo nel luogo, che dianzi accennai, trovarono una cassa, con iscrizione che dinotava comprendere le loro ceneri. Dopo tanto tempo, dacchè era rimasa nascosta, Dio la trasse in luce col disegno di dichiarare a tutti come ben accetti gli fossero i doni dell’Augusto, e com’egli rimunerasse la beneficenza. E di fatto era Giustiniano ammalato, gravemente afflitto per doloroso tumore venutogli ad un ginocchio, onde colava gran marcia: e s’avea chiamato addosso egli [p. 345 modifica]medesimo quel male, perchè in tutto quel tempo, che precede la festa di Pasqua, chiamato il digiuno, era solito ad usare sì tristo vitto, che non solo a Principe sarebbe disdicevole, ma ad ogni uomo pur anco alcun poco civile. Imperciocchè egli passava due giorni senza mangiare, quantunque al primo albore usasse alzarsi di letto per invigilare agli affari pubblici, che e colla voce e coi fatti avea costume di trattare e di notte, e di mattino, e di mezzodì: giacchè quantunque assai tardi si ponesse a letto, poco dopo s’alzava, quasi da materassi offeso. A tavola poi si asteneva dal vino, dal pane e dalle altre vivande, nè cibavasi che d’erbe salvatiche, tenute lungo tempo in aceto e sale; ed era sua bevanda l’acqua. Di queste cose nemmeno si empiva; ma quando mangiava, tocche appena le cose leggiermente, le mandava indietro prima di avere soddisfatto alla necessità. Ora per queste cagioni vieppiù aggravandosi il male, vinse le forze della medicina; e lunghi ed acerbissimi dolori l’Imperadore soffriva. In questo frattempo udì essersi trovate le sacre Reliquie accennate; e dato un addio all’arte umana, a quelle raccomandossi, con pia fede pregando di guarire. E tale persuasione in sì necessario frangente assaissimo gli giovò: perciocchè appena i sacerdoti gli toccarono il ginocchio col Reliquiario, il male sparì, costretto a cedere ai santi Corpi. Nè permise Dio che si dubitasse del miracolo, dato avendone un illustre segno; e fu questo, che immantinente si vide dalle sacre Reliquie, e dal vaso che le conteneva venir fuori olio, che i piedi e la veste purpurea dell’Imperadore bagnò: così che [p. 346 modifica]quella veste così intinta si conserva nella reggia a testificazione dell’accaduto, e a guarimento futuro de’ posteri che cadano in morbi insanabili.