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desimo quel male, perchè in tutto quel tempo, che precede la festa di Pasqua, chiamato il digiuno, era solito ad usare sì tristo vitto, che non solo a Principe sarebbe disdicevole, ma ad ogni uomo pur anco alcun poco civile. Imperciocchè egli passava due giorni senza mangiare, quantunque al primo albore usasse alzarsi di letto per invigilare agli affari pubblici, che e colla voce e coi fatti avea costume di trattare e di notte, e di mattino, e di mezzodì: giacchè quantunque assai tardi si ponesse a letto, poco dopo s’alzava, quasi da materassi offeso. A tavola poi si asteneva dal vino, dal pane e dalle altre vivande, nè cibavasi che d’erbe salvatiche, tenute lungo tempo in aceto e sale; ed era sua bevanda l’acqua. Di queste cose nemmeno si empiva; ma quando mangiava, tocche appena le cose leggiermente, le mandava indietro prima di avere soddisfatto alla necessità. Ora per queste cagioni vieppiù aggravandosi il male, vinse le forze della medicina; e lunghi ed acerbissimi dolori l’Imperadore soffriva. In questo frattempo udì essersi trovate le sacre Reliquie accennate; e dato un addio all’arte umana, a quelle raccomandossi, con pia fede pregando di guarire. E tale persuasione in sì necessario frangente assaissimo gli giovò: perciocchè appena i sacerdoti gli toccarono il ginocchio col Reliquiario, il male sparì, costretto a cedere ai santi Corpi. Nè permise Dio che si dubitasse del miracolo, dato avendone un illustre segno; e fu questo, che immantinente si vide dalle sacre Reliquie, e dal vaso che le conteneva venir fuori olio, che i piedi e la veste purpurea dell’Imperadore bagnò: così che