De mulieribus claris/XLVI
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CAPITOLO XLVI.
Lucrezia Romana, moglie di Collatino.
Lucrezia Romana, moglie di Collatino, fu la guida della umana castità, e santissimo nome dell’antica modestia, fu figliuola di Lucrezio Spurio Tricipitino, famosissimo uomo tra i Romani, e fu moglie di Collatino, il quale era stato fratello di Tarquinio Prisco. È incerto se ella parve più bella tra le altre donne romane per la bellezza o per la onestà. E tenendo assediata Ardea città, Tarquinio Superbo, e ella essendo andata1 a Collazio, castello del marito non molto lungi dalla città di Roma; avvenne che nel campo, durando l’assedio per lungo spazio, cenando i figliuoli del re, tra i quali era Collatino, caddero a contenzione dell’onestà delle mogli; e facendo ciascuno, secondo usanza, menzione della sua innanzi all’altre, vennero a questa conclusione, che apparecchiati i cavalli e montati a cavallo, andarono di notte a vedere che esercizj fussero i loro, durando la guerra, sì che elleno non sentissero. E avendo trovate a Roma le fanciulle reali con le loro pari istare in sollazzi, volti i cavagli n’andarono a Collazio, dove egli trovarono Lucrezia con le sue femmine a esercizio di tela, e non era vestita con alcuno adornamento; per la qual cosa parve più laudabile che le altre, secondo il giudizio di tutti. E benignamente ella ricevette Collatino e gli altri giovani in casa: nella quale Sesto, figliuolo di Tarquinio, guardando con disonesti occhi la bellezza, e l’onestà della donna casta, acceso di scellerato amore, deliberò con seco d’averla per forza, se per altro modo non potesse usare la bellezza di quella. E non molti di dappoi, istimolando lo furore, lasciato di notte nascosamente il campo, andò a Collazio; dove, perchè egli era parente di suo marito, fu ricevuto da Lucrezia benignamente e onorato. Ma poi che egli sentì che tutta la famiglia taceva, e pensando, tutti i compagni tacere; con uno ignudo coltello entrò nella camera di Lucrezia, e manifestò chi egli fusse; minacciando d’ucciderla, se ella gridasse, o se ella non consentisse alla sua volontà. Lo quale, vedendo ricusare il suo desiderio, non temendo la morte; ridussesi ad una malvagia malizia, e disse che ucciderebbe un suo servo appresso di lei; e direbbe, avere morta lei e il servo, avendogli trovati in adulterio. Udite queste parole, la donna soprastette tremando; e impaurita a sì scellerata infamia, temendo che, se fusse morta, non fusse chi purgasse la sua innocenzia, con dispetto dell’animo consentì lo suo corpo all’adultero. Lo quale dappoi che soddisfece alla sua volontà iscellerata, partendosi vincitore, tornò a suo padre. Lucrezia, turbata di sì scellerato peccato, come fu dì, mandò per Tricipitino suo padre, per Bruto, parente di Collatino (lo quale fino a quel dì era stato reputato matto), e per altri parenti, e per suo marito; i quali poi che furono andati a lei, ella contò loro per ordine con lagrime le cose che Sesto avea fatte contro a lei. E consolandola i parenti, piangendo ella miserabilmente, trasse fuori uno coltello, che ella avea sotto le veste, e disse: Se io m’assolvo del peccato, non mi libero della pena; e più innanzi non viverà alcuna disonesta ad esempio di Lucrezia. E, dette queste parole, ficcossi il coltello nello innocente petto, e lasciandosi2 cadere sopra lo coltello, in presenza del marito rimase morta ai suỏi piedi. Infelice per certo fu sua bellezza e sua onestà; la quale mai non si può lodare con sofficienti lodi tanto, quanto più aspramente la sua ingiuria fu punita. Perchè non solamente fu restorato lo suo onore bruttato per la vio lenza dello scellerato giovane, ma eziandio per quello seguì la libertà di Roma.