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216 lucrezia, cap. xlvi.

d’ucciderla, se ella gridasse, o se ella non consentisse alla sua volontà. Lo quale, vedendo ricusare il suo desiderio, non temendo la morte; ridussesi ad una malvagia malizia, e disse che ucciderebbe un suo servo appresso di lei; e direbbe, avere morta lei e il servo, avendogli trovati in adulterio. Udite queste parole, la donna soprastette tremando; e impaurita a sì scellerata infamia, temendo che, se fusse morta, non fusse chi purgasse la sua innocenzia, con dispetto dell’animo consentì lo suo corpo all’adultero. Lo quale dappoi che soddisfece alla sua volontà iscellerata, partendosi vincitore, tornò a suo padre. Lucrezia, turbata di sì scellerato peccato, come fu dì, mandò per Tricipitino suo padre, per Bruto, parente di Collatino (lo quale fino a quel dì era stato reputato matto, e per altri parenti, e per suo marito; i quali poi che furono andati a lei, ella contò loro per ordine con lagrime le cose che Sesto avea fatte contro a lei. E consolandola i parenti, piangendo ella miserabilmente, trasse fuori uno coltello, che ella avea sotto le veste, e disse: Se io m’assolvo del peccato, non mi libero della pena; e più innanzi non viverà alcuna disonesta ad