Capitolo XIV. Niobe, Reina di Tebe

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Giovanni Boccaccio - De mulieribus claris (1361)
Traduzione dal latino di Donato Albanzani (1397)
Capitolo XIV. Niobe, Reina di Tebe
XIII XV


NIOBE, famosissima donna tra le nobili, fu figliuola di Tantalo, antichissimo e famosissimo re di Frigia, e sorella di Pelope. Poi fu moglie di Arnione, re di Tebe, famosissimo in quel tempo, così perchè egli fu figliuolo di Giove, come per sua eloquenzia; e durando la gloria del regno ella partorì sette figliuoli, e altrettante figliuole. E certamente quello che al savio dovea giovare fu la morte a lei, che insuperbì, e insuperbita non tanto per la nobile famiglia dei figliuoli, ma eziandio per la gloria dei suoi maggiori, ardì di sparlare contro agli Dei. Erano un dì i Tebani solleciti1, per ammaestramento di Manio figliuolo di Tiresia astrologo, a fare sagrificj a Latona madre di Apollo e di Diana, venerabile Dea per antica ragione, e Niobe, stimolata quasi da una furia, veduta la sua brigata dei figliuoli onorati di reali onori, presentossi, palese gridando: Che matterìa fusse quelle dei Tebani, fare lo sagrificio a Latona, donna forestiera e figliuola di Titano, la quale solamente aveva due figliuoli concetti per adulterio, e di mettere quella innanzi a sè sua reina, figliuola di Tantalo re, la quale di suo marito avea partoriti a quegli, vedendogli, quattordeci figliuoli, dicendo, che a sè, come a più degna convenivano gli sagrificj. E dopo piccolo spazio di tempo avvenne, che in presenza di quella, per mortale pestilenzia tutti i figliuoli, splendidi di gioventù, in piccolo spazio morirono infino all’ultimo. E Anfione essendo privato di quattordici figliuoli, di dolor pieno con le mani proprie si diede la morte. Laonde i Tebani stimarono ciò esser fatto per ira degli Dei i quali vendicassino l’ingiuria della Dea2. Ma Niobe, rimasta vedova e trista, ostinata venne in tanto senza parlare, che piuttosto parea un’immobile sasso che una femmina. Per la qual cagione i poeti ferono poi una finzione, che ella si convertì in una statua di pietra presso Sipiilo, dove erano stati seppelliti i figliuoli. Dura cosa e molto odiosa vedere, nonchè comportare, i superbi, ma comportare le superbe donne è fastidioso, e incomportabile3: conciossiacosachè per la maggior parte la natura abbia prodotto quelli con caldo e superbo animo, e queste ella produsse con umile ingegno, non con superba virtù, e piuttosto atte a dilicanza che a signoria. Per la qual cosa è meno da maravigliarsi, se contro a queste elate l’ira di Dio è più provocata4 e la sentenzia più crudele, quante volte avviene che elleno passino il termine della sua debilità, come fece la insipida Niobe, ingannata da fallacia di fortuna, e ignorante, che avere molti figliuoli non è virtù della madre che li partorisce, ma opera della natura che volge in quella la benignità del cielo. Dunque piuttosto doveva rendere quella grazia (e era suo debito) a uno Iddio dei figliuoli conceduti, che domandare alcuni divini onori, acciocchè le fussero fatti, come se fosse stata sua opera avere tanto numero di figliuoli così maravigliosi. La quale avendo piuttosto operato superbamente che saviamente, fece che, vivendo, pianse la sua sciagura, e dopo molti secoli lo suo nome, odioso a quelli che vengono drieto.


Note

  1. Cod. Cass. Era uno de Tebani sollecito. Test. Lat. Erant... solliciti dierum una Thebani.
  2. Le parole di differente carattere sono tolte dal Betussi per interezza del senso.
  3. Cod. Cass. Dura chosa e molto odiosa avere non che a comportare i superbi machomportare le superbe donne e fastidiose e in chomportabili. Test. Lat. Durum est et odiosum plurimun superbos non dicam tolerare, sed spectare homines; mulieres autem fastidiosum et importabile.
  4. Cod. Cass. meno da maravigliarsi e chontro a queste irate lira di Dio e più provochata. Test. Lat. si in elatas Dei proclivior ira sit.