Alle Dame Viennesi. Dedica

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De' dialoghi d'amore Dialogo I
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ALLE DAME VIENNESI.




Quanto è mai dolce ad un italiano il vedervi, signore mie, così brave coltivatrici della sua lingua! Io men compiaccio assaissimo, e rallegromi sempre più meco, e coll’Italia di sì bel genio vostro, e della fortuna del tuo linguaggio, il quale essendo per indole assai gentile, non può star meglio, che su labbra gentili. Ma come non rallegrarmi oggi ancor più nel vederlo alzato al trono, e per [p. 6 modifica]per la corte diffuso, e per la città1? Ornai non avrete dunque bisogno di chi ve lo insegni neppure per la pronunzia più delicata toscana, e lo saprete senza maestro per conversazione, e per affetto, e questo affetto, il migliore di tutti i maestri, è per voi ancor più animoso giugnendo insin colassù, dove giugner non suole fuorchè l’omaggio, e l’obbedienza. Sembrami non pertanto, che oltre al parlar la mia lingua, vorrete scriverla pur talvolta, e un precettar vi presento però in questi dialoghi, un maestro del più bel fiore, di lingua purissima, e di quel buon gusto, ingegno, grazia, ed eleganza propria del bel paese privilegiato, che è l’Attica dell’Italia, come sapete. Non temiate già il titolo di maestro sempre un poco odioso al bel sesso, poichè nel mio idioma non si [p. 7 modifica]confonde nò, come in altri, con quel di padrone. Questo invece è un amico, e a voi caro come voi siete a lui, e v’istruisce ognora, e assai per tempo già v’ha insegnati di bei segreti. Non giova farne l’elogio bastandone il nome. Egli è amore. Abbandona l’Italia stanco omai di star sempre coll’arco teso a scoccare suoi dardi al cuor di sposi novelli, a portar lor davanti la face d’imeneo, o a spegnerla su le porte d’un chiostro, o ad attizzarla in man della gelosia. Confessa egli medesimo, che omai non sa più dove viversi. In Asia è schiavo, in America selvaggio, in Africa corsaro, e in Europa diviene affare di moda, speculazione, qua platonismo, là brutalità, e peggio. Spera nella Germania trovare un asilo, e principalmente in Vienna, perduta avendo l’altra sua capitale, detta l’Atene Parigina, oggi una seconda Troja. In Vienna, cui nulla manca, e tanto manca per essere un’altra Atene, ei si lusinga di [p. 8 modifica]veder in moda la sua lingua prediletta, di piacervi e regnar con voi. L’udrete dunque dialogizzare con più personaggi, e su varj argomenti. Stupirete di non trovarlo sì pazzo e volubile qual comparve ognora per non sua colpa. Vedrete ch’ei non si fa giuoco del cuore umano, come molti suppongono, ma ch’è per lui un affare di stato. Oh quando si tratta di cuore egli è inesorabile come voi! Ei non risparmia il bel sesso, come non la perdona a chiunque si scosta dalle leggi dell’ordine, dell’armonia, e del buon gusto che a tutti detta amore. Or benchè facciavi talvolta processo, voi gli perdonerete, clementi che siete sin cogli uomini amanti, e clementissime poi verso del Nume. Io però nol difendo già nò in tutto. A voi tocca dar la sentenza dal legittimo tribunale della toletta, al qual presentasi per mia mano. Molto più sarete indulgenti udendolo sempre moralizzare ancor ridendo, ed insinuar la virtù con [p. 9 modifica]parole, come a voi s’aspetta col fatto, ed esser filosofo con grazia, cosa rara tra noi. Parrà troppo lungo questo proemio a chi dee conversar con amore; ma sembrandomi brevi i momenti che voi mi donate, permettetemi due parole ancora. Voi non ignorate l’obbligo de’ mecenati. So che siccome s’ha per vile l’indigenza, così una lettera dedicatoria, che pur troppo è simbolo della fame, altro non fa che indur nausea. Con tutto ciò io vi consacro questi dialoghi, e chieggio un premio; ma quel che chieggio è cosa, di cui non siete molto avare. La ricompensa e la protezione, che sola bramo, è il favor vostro, che negar non potete a un caro amico, che or vi parla per me tutta spiegando l’idea da gran filosofo:

     Non si distrugga amor, funesta al mondo
La perdita saria, sotto la cura
Di rigido maestro il folle ingegno
Impari a moderar, fanciullo ancora

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Potrà cambiar costume,
E di reo divenir placido Nume.
     Ristoro alla fatica amor sarebbe,
Alimento alla pace,
Stimolo alla virtù, s’altri sapesse
Saggio non abusar de’ doni suoi,
E se diventa poi
Ministro di follie, cagion di pianti,
Non è colpa d’amor, ma degli amanti.

Note

  1. La corte di Toscana era passata a Vienna.