Dalle dita al calcolatore/VII/6
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6. Gli antichi numerali
Gli editti di Asoka costituiscono i più antichi reperti di scrittura indiana; sono redatti quasi tutti in alfabeto brahmi, la cui decifrazione risale al 1837. Si tratta di una scrittura sillabica che annota con segni specifici le vocali, quando formano sillaba a sé, e prevede un segno che si aggiunge alla consonante quando la sillaba è costituita da una consonante più una vocale diversa dalla “a breve”. Alcuni editti trovati nelle zone di confine con l’Iran sono redatti in kharoshti, che si legge da destra verso sinistra. La kharoshti è una variante della scrittura aramaica, diffusa nel Medio Oriente dall’Egitto all’Iran. In tempi successivi, la scrittura brahmi è sostituita dalla devanagari (della città degli dei) usata dalla letteratura sanscrita e dall’hindi, attuale lingua nazionale dell'India. L’alfabeto devanagari è formato da ben 51 segni e la scrittura procede verso destra.
Nome sanscrito dei numeri da 1 a 10.
Parliamo ora dei primi segni numerali indiani. Le iscrizioni indiane più antiche non sono anteriori al III sec. a.C., e inoltre sono scarse, perché si usa scrivere su materiale facilmente deperibile come tavolette di legno o foglie di palma. I pochi segni numerali attualmente noti provengono dagli editti di Asoka (III sec. a.C.) e dalle “grotte” di Nana Ghat (II sec. a.C.) e di Nasik (II sec. d.C.). Nei tempi antichi si usano le numerazioni a trattini, come è attestato per i numeri 1, 2 e 3; non vi è traccia del principio posizionale. In questo caso è corretto ipotizzare l’origine indiana di tali cifre, in quanto altri popoli hanno usato sistemi analoghi. Tuttavia, sono state individuate delle somiglianze con i segni ieratici egizi, per i numeri fino a 9; anche questa ipotesi è resa verosimile dalle vicende che vedono la valle dell’Indo e l’Egitto far parte dell'impero persiano, e dal ruolo di mediazione culturale svolto dagli Aramei. Alcuni studiosi sostengono l’origine acrofonica degli antichi segni numerali indiani: sarebbero state usate le lettere iniziali dei nomi dei numeri redatti in alfabeto kharoshti; ciò è verosimile e spiegherebbe la coesistenza di trattini e di numeri-lettera, come nel sistema erodianico greco, usato fino al I sec. a.C. Tuttavia, i numeri presenti nelle iscrizioni kharoshti non assomigliano alle lettere dell’alfabeto.
L’uso di un sistema misto di numerazione si fa risalire agli Aramei. A prescindere dalla loro preferenza per la scrittura dei numeri a tutte lettere, essi indicano le prime nove unità con trattini verticali, ripartiti a gruppi di tre. I reperti più antichi risalgono all’VIII sec. a.C.
Altri popoli della stessa area (Nabatei, Palmireni) agli inizi dell’era volgare inventano segni speciali per il 5; i Nabatei, inoltre, rappresentano il 4 con una crocetta ( × oppure + ) che si ritrova pure negli editti di Asoka. Le decine aramaiche vengono rappresentate con trattini arcuati orizzontali, possibilmente a coppie. Per le centinaia e le migliaia il principio additivo viene sostituito con quello moltiplicativo. Per indicare 500 si tracciano 5 trattini verticali seguiti dal simbolo del centinaio, da destra verso sinistra. Lo stesso principio è adottato nelle iscrizioni etiopiche, con le varianti dovute alla direzione di scrittura verso destra e all’uso delle lettere numerali derivate dall’alfabeto greco.
Alcune cifre di altri popoli semiti.
Sulla base del modello dell’alfabeto numerale greco si ipotizza un uso analogo dell’alfabeto brahmi, del quale poi sarebbero state usate esclusivamente le prime nove lettere. Anche questa ipotesi è accettabile, considerato che altri popoli, fra cui gli Arabi e gli Ebrei, usano le lettere-numero.